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Fisiologia dell’anima - o, se preferisci, - neuroni & anima
Riccardo Fesce - tutti i diritti riservati (editori e agenti interessati, inviare una mail)
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I

Tanto per incominciare, L’INFINITO

Verso l’infinito, e oltre!

Comodo, per gli inesauribili autori disneyani, mettere questo impegnativo grido in bocca ad un improbabile, goffo e spiritato pupazzo astronauta, paranoicamente inconsapevole della sua realtà di giocattolo e viceversa sicuramente e tragicomicamente immedesimato nel ruolo di inviato interplanetario impegnato nella difesa dell’universo contro le forze del male...

Comodo perché così, grazie alla tenerezza e al sorriso, nessuno rifiuta la forza d’urto della straordinaria intuizione, per nulla comica, che sta sotto questa per nulla innocente frase.

Eppure se si ferma il sorriso, il benevolo compatimento che questo novello donchisciotte per bambini (per bambini...?!) suscita, grazie anche alla sua seriosa e ingenua − ma fiera e incrollabile − paciocconeria, ci si accorge che il paradosso, la dirompente contraddittorietà del grido non sono poi così inaccettabili. Se non la parte più logica, certo la parte più aperta sensibile e intuitiva del nostro spirito si trova pienamente a suo agio con l’idea che l’infinito sia abitabile, che nulla anzi sia più connaturato al nostro spirito che inoltrarvisi, e anzi andar ben oltre!

Sì, ché se l’infinito spaventa perché non possiamo abbracciarlo tutto (comprenderlo), ancor più sgomenta che, qualora vi riuscissimo, dovremmo fermarci sul bordo, e ammettere il vuoto, più in là ancora. Non è accettabile che l’infinito, per quanto vasto, comprenda tutto. Ma ancor meno accettabile che non si possa andare oltre.

E allora sì: oltre l’infinito, ma non nel vuoto, in un infinito ancor più immenso, fuori dal quale infiniti ancor più alti ci attendano. Onestamente, ci si sente ben più a proprio agio se l’infinito, per quanto infinito sia, non pretende di esaurire, e ci lascia altro da esplorare.

Un infinito più grande di quello fisico...

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I matematici, che qualche trucco e algoritmo sanno sempre trovare per riprodurre in astratto le musiche dello spirito, il problema l’hanno risolto da tempo, elegantemente come nel loro stile e nelle loro abitudini. Scrivi “∞” per dire infinito, elevalo al quadrato ed eccolo lì: ∞2, e via così ∞3, ∞10, ∞n, ∞, e tutti gli infiniti di ordine superiore. Elegante e mooolto matematico, perché non si capisce, se non decidi a priori che lo vuoi capire. Ma che vuol dire? Vuol dire che non basta neppure affermare che c’è sempre qualcosa di più grande. Non si tratta solo di esser più grande (per quanto tu possa essere ricco, se ti regalo un euro lo sei di più...), qui si tratta di essere decisamente più grande, un casino più grande, intrinsecamente, pazzescamente, infinitamente più grande, QUALITATIVAMENTE più grande. Infinito è un’altra cosa, rispetto a qualunque grandezza, eppure è concepibile un infinito al quadrato, che è ancora tutt’altra cosa rispetto a qualunque semplice infinito...

Pare di friggere l’aria, e invece sono banalità chiare, in fondo all’anima, persino a un bambino, anche se non le sa raccontare.

Prendi un linea lunga, ma lunga, ma lunga tanto − e via! prendila infinita: riuscirà mai a coprire anche solo la superficie di una fetta di pan tostato? prendi una superficie grande quanto vuoi, estesa all’infinito e di qui e di là, ci potrai mai giocare a palla, se non ha almeno quel minimo di spessore che hanno gli stracci, che già non son più superfici ma oggetti, tridimensionali?

In fondo non possiamo non saperlo: l’infinito, per quanto grande, non ce la fa, non “ci arriva”. C’è sempre qualcosa oltre. Sempre. Comunque.

E dopo tutte le dimensioni che moltiplicano gli infiniti?

Forse dio, lo spirito del mondo, l’anima...?

Da dove nasce lo sgomento del senza fine e la certezza viscerale dell’oltre?

Una ipotesi è dio-spirito, che si impone all’intelletto, ci chiama: dal mito della caverna − percepiamo una limitata “realtà” del vissuto vivibile concepibile, intuiamo una verità/realtà di altra natura − alla religione e al misticismo in ogni sua forma; sembra che l’uomo ne abbia sempre avuto bisogno, di una realtà immensa, superiore, in cui abbandonarsi, a lasciar vagare lo spirito e a sognare.

Una interessante ipotesi laica alternativa è di difesa: ne abbiamo bisogno, ci aiuta, la percezione incontestabile di qualcosa oltre l’infinito è il modo più semplice e efficace di negare l’infinità stessa dell’infinito, e lo sgomento che ne consegue.

Ma come sempre c’è una terza via (c’è sempre? penso che siamo rimasti in pochi a crederlo ancora...), la più difficile, forse, quella che per molti non esiste affatto, e in generale non si può trovare, non si può percorrere.

E’ l’ipotesi che l’infinito sia ammissibile reale concepibile ma irrisorio (risibile) perché comunque insufficiente, inadeguato, perché qualunque infinito non nega la possibilità di una ulteriore dimensione, nella quale tutti gli infiniti fin qui considerati si proiettano solo come un piccolo punto mentre lo spazio del reale si dilata infinitamente per ogni nuova dimensione aggiunta. E non si tratta solo di linee incapaci di contenere una superficie, di superfici infinite che sanno avvolgere un oggetto ma non occuparlo, esserne compenetrate: il fatto è che nessuno spazio infinito sa comprendere più di un istante, o ospitare il movimento.

E nessuna realtà fisica nello spazio, nel tempo, può comprendere un’emozione, un’intuizione, un’interpretazione, un desiderio, una passione, un sogno.

Attenzione!

Evitare con cura la lettura di tutta la parte seguente, ed in genere di tutte le porzioni scritte con questo corpo. Trattasi di materiale contenente per lo più informazioni, peraltro dispensabili, anziché, come nel resto del testo, accurate combinazioni di parole volte ad evocare la fuggevole e ingannevole sensazione di intuizione e illuminazione, con conseguente delusione incertezza confusione e rimpianto − “per un attimo sembrava tutto così chiaro” − da cui nasce piacevole languore, ammirazione per l’autore, e affettuosa rimembranza, che è nostro non ultimo inconfessato e malcelato obiettivo.

Purtroppo è stato necessario inserire queste sezioni “tecniche” al fine di ottemperare alle normative ministeriali nel caso questo libro diventasse, come nelle nostre più rosee aspettative, il testo ufficiale per lo studio della neurofisiologia, non appena questa materia irromperà nei programmi di studio del liceo, della scuola media, e nelle elementari e materne a indirizzo sperimentale.

INFINITO O NO?

“Di infinito conosco solo due cose, l’universo e la stupidità umana. E della prima non sono poi così sicuro.” (Albert Einstein)

In effetti agli scienziati non piace tanto l’infinito: non sai come metterlo, come fissarlo sul bancone per farci su un esperimento, come esser sicuro che non ti sfugge quando cerchi di imbracarlo in una teoria.

Allo scienziato piace più il cervello dell’anima. Certo, se “anima” fa pensare subito all’infinito, e forse un po’ anche “mente” fa lo stesso scherzo, “cervello” presenta meno rischi. Gelatina grigiastra e poco poetica, è più facile rinchiuderlo negli schemi fisici: causa-effetto, azione-reazione, stimolo-risposta.

Si discuterà più avanti che cosa sia e che cosa caratterizzi un sistema biologico, ma qualcosa si può già anticipare. Essenzialmente, è un sistema che presenta alcune caratteristiche strutturali organizzative e funzionali che, pur evolvendo, mantengono un certo grado di persistenza e stabilità. Questo è reso possibile da un complicato sistema di meccanismi che mettono in atto risposte fisiche e chimiche adatte ad ogni possibile stimolo o influenza, che l’esterno esercita sul sistema biologico: in questo modo il sistema riesce a mantenere inalterate certe sue caratteristiche e a modificarne parzialmente altre, cambiando quel tanto che basta per sopravvivere.

Nei sistemi complessi, come gli organismi multicellulari, le risposte non possono essere attuate dallo stesso sottosistema che registra le influenze esterne (per esempio la pelle viene stimolata dal calore del ferro da stiro ma per evitare di bruciarsi sono i muscoli che devono rispondere per sottrarre la pelle al contatto).

Occorre dunque che esistano meccanismi e sistemi per la comunicazione tra le diverse parti dell’organismo. I principali sono il sistema ormonale e il sistema nervoso.

Gli ormoni sono sostanze liberate da un gruppo di cellule, in risposta ad uno stimolo, che raggiungono attraverso il sangue tutte le altre cellule dell’organismo, in modo da attivare le risposte opportune da parte delle cellule che le possono generare.

Il sistema nervoso è una rete di cellule − neuroni − ognuna delle quali può generare una risposte elettrica, se propriamente stimolata, e propagarla lungo la sua membrana, anche a millimetri o metri di distanza, per poi tradurla in uno stimolo che la terminazione nervosa è in grado di trasmettere ad un’altra cellula nervosa, o muscolare, o ghiandolare.

Il primo ruolo svolto dalle cellule nervose è quindi quello di “trasferire” un segnale da un punto all’altro dell’organismo.

In molti animali inferiori gruppi di neuroni sono organizzati in modo da generare risposte più o meno complesse a segnali esterni, senza che vi sia un unico centro di controllo che organizza e “interpreta” tutta questa attività. Tipicamente, negli invertebrati, reti di neuroni costituiscono “gangli” che, situati nelle diverse porzioni del corpo, presiedono alla elaborazione di risposte specifiche e locali.

Nei vertebrati tutto l’insieme dei neuroni e delle loro connessioni è organizzato in modo da costituire un asse centrale (nevrasse) che oltre a gestire le risposte locali permette un coordinamento complessivo di tutta l’attività nervosa. Questo dà luogo ad un sistema nervoso centrale (SNC): salendo nella scala zoologica, aumenta la massa e la complessità delle strutture di coordinamento e supervisione complessiva del sistema nervoso centrale, fino a riconoscersi chiaramente la presenza di un cervello, e al suo complicarsi dai pochi grammi di una rana fino al chilo e mezzo del cervello umano.

La scienza classica non si discosta da questa visione.

Nessun infinito.

Il tessuto nervoso è una conquista evolutiva che permette di costruire organismi multicellulari con funzioni e risposte complesse. Suo senso scopo e destino è permettere la generazione della risposta opportuna allo stimolo esterno (o interno).

Stimolo, risposta.

In mezzo, il sistema nervoso. Studiamo come riscontra e registra fenomeni stimoli e condizioni all’intermo e all’esterno dell’organismo (sistemi sensoriali) e come produce risposte vegetative (sistema nervoso autonomo) o comportamentali (sistemi motori) adeguate.

Bel modo, semplice, di vedere le cose. Poi, resta poco da stupirsi se nessuno di noi è disposto a riconoscere se stesso, la sua mente, il suo vissuto, la sua identità e coscienza in questo marchingegno puramente reattivo, fatto di sistemi sensoriali autonomi e motori, ma nel quale non appaiono operare sistemi interpretativi, creativi, passionali, fantasticativi, desideriali, sognatori e idealizzatori.

Centinaia di miliardi di neuroni non bastano a suggerire l’infinito, se davvero sono organizzati in una macchinetta fatta solo per rispondere.

Ma davvero nel sistema nervoso non c’è nulla di più?

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