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Fisiologia dell’anima - o, se preferisci, - neuroni & anima
Riccardo Fesce - tutti i diritti riservati (editori e agenti interessati, inviare una mail)
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II

Daccapo: LA VITA

Incerto, frastagliato e confuso il confine tra la vita e l’anima.

Eppure balza agli occhi la diversa materia. Più facile negare a una macchina la vita − prerogativa del più stupido verme o filo d’erba − che la possibilità di un’anima. Robot e astronavi della fantascienza non vivono, ma soffrono e desiderano e sognano e amano.

Serietà scientifica impone di cristallizzare qualche definizione, qualche appiglio per spingersi a guardare oltre. E allora trinciamo qualche definizione, tracciamo qualche limite chiaro.

Per un attimo dimentichiamo la vita nostra, la vita come storia, come memoria. E parliamo di vita − bios − quella dei biologi dei teologi dei cosmologi: dove c’è vita e dove no, che cosa distingue un entità viva da una che non lo è, come nasce come finisce la vita. Domandine da nulla…

Al mondo si può persistere o sopravvivere o vivere. Strutture e oggetti fino ad un certo livello di complessità − splendidi cristalli di quarzo viola − raggiungono equilibri stabili, ogni molecola sistemata più comoda possibile, nessuno che scalpita, nessuna energia da cedere. Freddi. Morti. In assenza di perturbazioni e forze esterne non mutano esistono persistono in eterno. Crescono talvolta, inglobando nella loro − insulsa o magnifica − organizzazione morta nuove molecole, che erodono dal resto del mondo dove si agita la vita. Talvolta si disgregano, si perdono.

Strutture più dinamiche e complesse si reggono su equilibri aleatori, che equilibri non sono. Parvenze statiche senza pace, si reggono su forze che li intaccano e li mutano, ma sanno tanto abilmente mutare da dissipare le forze che li insidiano, sfruttandone l’energia per riparare rigenerare perpetuare − finché si può − i tratti che ne definiscono la natura fondamentale, e per riprodurre i loro stessi equilibri − riprodursi − fuori di sé. Questa è la caratteristica dei sistemi biologici, sistemi dinamici che mantengono la loro integrità ed evolvono nel corso della loro vita grazie a complessi processi di regolazione dei parametri interni e di interazione con l’ambiente esterno. Questo è ciò che rigorosamente chiamiamo vita.

Un aspetto forse più chiaramente di altri chiarisce la differenza. Lasciato tranquillo, un cristallo non cambia e persiste. Senza interazione con l’esterno, senza forze che cerchino di modificarlo cedendogli energia, un essere vivente cambia comunque, ma non persiste, non sopravvive, degenera e muore. Equilibrio fragile ed esigente. Come una musica che pare svolgersi e continuarsi in un mirabile equilibrio di vibrazioni, ma se nessuno canta più si affievolisce nell’eco e muore in aria ferma.

Ma che cosa guida la vita?

Quale forza spinge l’organismo vivo a battersi incessantemente per sopravvivere e rappezzare i danni del tempo e ricostruire di momento in momento faticosi equilibri, e riprodursi e prolificare?

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La fisicochimica in fondo non è complessa. E’ come dirigere un asilo. Uno stuolo di bambini iperattivi: corrono saltano giocano urlano si rincorrono si agitano si rigirano. Se li organizzi in modo che abbiano spazio attrazioni divertimenti possibilità di sistemarsi in mille e mille modi diversi nuovi e divertenti, e di dire e di fare come gli pare è più facile che non scappino, non distruggano, non facciano saltare in aria tutto. E’ anche più difficile che costruiscano qualcosa, svolgano efficientemente un lavoro...

Il trucco sta nell’energia. Più ne sprecano correndo e giocando (diavolo, è questo che ci frega sempre, noi postcattolici: chi ha detto che sia energia sprecata, e che sia buona solo quella usata per lavorare?), più ne dedicano ad agitarsi e divertirsi e meno ne avranno per costruire e distruggere, dentro e fuori dell’asilo.

Atomi e molecole sono mirabili equilibri di irrisorie particelle di materia e grandi energie. Si avvicinano si accostano si combinano e se ne vanno. Quanto più gli elettroni sono a loro agio in una molecola, ampi percorsi per scorrazzare, protoni in vista e altri elettroni fuori dei piedi, tanto più si agiteranno senza mettere in discussione l’equilibrio complessivo, e difficilmente svolgeranno un lavoro, scappando o movendo e cambiando altre molecole.

Anche per le grosse molecole, come le proteine, quanto più le loro regioni possono rivoltarsi e accomodarsi, combinandosi graziosamente tra loro, cariche elettriche ben sistemate, molecole d’acqua intrappolate dove ci stanno bene, regioni idrofobiche a contatto reciproco, tanto meglio stanno: chi si vuol rigirare e esplorare altre posizioni può farlo senza mettere a repentaglio la struttura generale, e la proteina se ne sta tranquilla.

Ma se le possibilità di risistemarsi sono ridotte, come quando si dorme su una sedia o su una branda dura e stretta, prima o poi l’equilibrio salta e la proteina cambia forma e interagisce con altre sostanze.

Anche per tutto questo c’è la matematica: quanti più sono i modi in cui un sistema si può riarrangiare (conformazioni) tanta più energia si sviluppa in questo ribollire: è energia rivolta all’interno, entropia − sì, diciamolo, entropia, anche se è parola arcana, e repelle chi l’ha dovuta incontrare e ha sempre sperato che nessuno gliene chiedesse conto. E quanta più energia è rivolta all’interno, tanta meno ne può essere ceduta per svolgere un lavoro esterno: è minore l’energia libera, che può svolgere lavoro. L’equazione è precisa, ed è forse l’equazione più generale della fisica: la probabilità che un sistema si trovi in un certo stato è proporzionale al numero di conformazioni che questo stato ammette − come alla roulette: un numero buono, 36 perdenti, o si trucca la ruota o uscirà quasi sempre uno dei numeri perdenti.

Probabilità. E l’entropia è proporzionale al logaritmo della probabilità. L’entropia rispecchia la probabilità, il disordine − s’è mai dato che qualcosa si riordinasse da sola?, − l’agio per elettroni molecole forze relazioni di sbizzarrirsi senza “far danni”.

E forse, in fondo, la felicità stessa non è che una metafora dell’entropia. La possibilità di sfogare energie e soddisfare desideri ed esprimere aspirazioni e realizzarsi senza dover cambiare modi e situazioni. Col risultato che chi è troppo felice si abbiocca e inebetisce e ben poco tende a fare per costruire, e anche solo preservare la felicità... “dell’universo immemore io vivo quasi in ciel”.

Oddio, felicità è una parola grossa, forse bisognerebbe andar più cauti: benessere, magari, felicità è qualcosa di più. Ma quanto di più, perché di più?

Viene in mente Amleto, essere, non essere, morire, dormire, sognare forse...

Ma non è qui il momento di parlarne. C’è tempo.

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Il tempo è astratto. Come tale ha il suo metro. E’ distanza assoluta e relativa. Passato e futuro sono comunque lontani ed egualmente distanti.

Ma il tempo delle cose ha una direzione.

Il tempo delle cose erode, smussa, corrode, disgrega.

Non crea. Non può. Non va indietro.

Forza inesorabile delle cose della natura della materia.

Ma neppure il tempo è onnipotente. Erode e disgrega solo ciò che si lascia erodere.

Occorre una forza, magari il più lieve alito di vento, per scombussolare anche il più fragile e instabile degli equilibri, foss’anche pronto a crollare rovinosamente. Il tempo delle cose è potente, ma non sa avviarsi. Bloccato, sta a guardare, finché l’equilibrio non è messo in dubbio, e allora interviene inesorabile, rapido o pacato ma inarrestabile. Logora finché nuovi equilibri, ovvi o fortunosi, più stabili anche solo impercettibilmente, non si raggiungono. E si ferma di nuovo, ad aspettare l’acchito.

Un castello di carte. Potrebbe riposare all’infinito. Una piccola scossa e rovina giù. Fallo più accurato, solido, geniale. Potrà ancora cadere, ma ci vorrà una scossa più forte.

Ecco dunque la legge del tempo. E della fisica e della chimica. Ordine e equilibri improbabili che vorrebbero disgregarsi e non possono − energia potenziale, pronta a liberarsi, come in un fiammifero o in una bomba, − e freni vincoli e legami che qualcuno deve incrinare perché l’ordine possa disperdersi − energia di attivazione, che deve investire dall’esterno il castello perché possa crollare, la bomba perché possa scoppiare.

Tutto si agita nel mondo della materia. La temperatura non è che una misura di frenesia molecolare. Da’ calore, si alza la temperatura, e ogni molecola si agita di più, ogni atomo si divincola più insofferente nella molecola che lo ingabbia, ogni elettrone protone neutrone morde più forte il freno che lo lega al suo atomo. Per ogni scosserella solo certi castelli di carte sono possibili. Per ogni temperatura solo certe molecole e certi atomi sono possibili: solo dove attrazioni e freni sono più forti della frenesia.

E il tempo sta a guardare, attento a intervenire e distruggere i castelli impossibili o incrinati.

Raffreddandosi l’universo nel corso dei suoi miliardenni (?), la materia inerte si è coagulata su ogni balza possibile del vocabolario chimico, come la neve sui rami degli alberi. Come la neve, pronta a cadere al primo soffio di bufera o al primo urto di sciatore maldestro.

Sulla terra arrivano i raggi del sole, tutto potrebbe scaldarsi pian piano, e la materia sperimentare nuove instabilità e equilibri: come la neve ributtata in aria dalla bufera. Poi, milioni di anni, il sole indebolito, tutto si raffredderebbe nuovamente, la bufera pian piano sopita, la stessa neve non più sugli stessi rami, ma ancora neve sui rami, come prima. E poi pian piano tutto sempre più freddo, pacato, coagulato, immutabile.

Povero tempo! con tutti i suoi occhi e i suoi trucchi non può accertarsi che ogni fiocco di neve trovi la sua strada fino a terra, finché il vento soffia, e quando questo si placa è troppo tardi. Non può accertarsi che ogni atomo, ogni elettrone, si svincoli per tempo da fatali attrazioni e possa scorrazzare libero, una volta placata la frenesia, quando non avrà più l’energia di staccarsi da sfortunati, accidentali e frustranti vincoli.

Storia insipida della materia, insensata e meravigliosa nei giochi evocativi di stalattiti e stalagmiti, nei mirabili cristalli di quarzo, nello sgomento del Gran Canyon, nell’incanto della sorgente cristallina, altissima, purissima...

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Tutta qui, la chimica, la fisica.

Un mondo di ordine trattenuto. Pronto a andare in pezzi purché qualcuno lo aiuti. Qualcuno magari tanto furbo da usare l’energia che libererà andando in pezzi per intaccare altri equilibri, altri ordini, che si possano disperdere. Come una fila di tessere del domino, messe in costa e desiderose di cadere, purché qualcuno le spinga: un lieve tocco che ne squilibri una sola, e perso l’equilibrio questa libera l’energia nascosta nel suo tenersi dritta, abbatte la seconda, e questa la prossima, e tutte quante.

Un mondo di ordine trattenuto. E magari qualcuno non solo tanto furbo da guidare la produzione di disordine, la liberazione dell’energia potenziale nascosta, ma talvolta tanto accorto − vivo! − da saper usare quella stessa energia per costruire, e mantenere, e rafforzare, e riprodurre, l’ordine suo proprio, che senza cura e manutenzione e riparazioni non potrebbe esistere e persistere, la sua vita.

Tra gli equilibri possibili e sperimentati dalla materia, molecole curiose come l’RNA, uno degli acidi nucleici: un equilibrio ben congegnato di molecole più piccole − uno zucchero, una base, due fosfati − legate in lunghe catene arrotolate. Un equilibrio rivoluzionario, perché favorisce l’avvicinamento di altri zuccheri, basi e fosfati che gli si adattino sopra costruendo una nuova catena uguale (meglio, complementare, speculare, ma fa poca differenza). Le molecole che costituiscono l’RNA stanno benissimo per conto loro, ma se si avvicinano ad una catena di RNA già formata si ritrovano stiracchiate e posizionate in modo tale che il loro piccolo castello di carte si scombussola e si acquieta in un castello più grosso, più stabile: una nuova catena di RNA, speculare alla prima.

Non è certo la vita, ancora, ma della vita ricorda un aspetto centrale, la tendenza a riprodursi. E soprattutto la capacità di sfruttare l’energia nascosta in molecole vaganti per acquietarle in strutture più complesse, in un ordine superiore.

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ROS: Reactive Oxygen Species. Energia libera (troppo) che sostiene la vita.

L’ossigeno è vita perché è avido di elettroni.

E chi è vivo davvero è avido, ingordo di emozioni e di idee.

Senza ossigeno ogni molecola starebbe tranquilla in un’inerzia di morte, e io ribollirei gli stessi pensieri consueti.

E invece il puzzle della vita, con i suoi caotici, impensabili e complicatissimi incastri, non è mai completo e rinasce ad ogni istante riscoprendo combinazioni collaudate e inventando equilibri nuovi e improbabili. Perché non c’è riposo, perché l’ossigeno incalza, esige elettroni, chiede risposte, vuole domande, agita dubbi, proposte, letture nuove, metafore possibili, fughe spericolate.

La cellula respira, rubando elettroni e protoni allo zucchero − così smantellato fino a vaporizzare in sterile anidride carbonica − come noi rubiamo immagini e sensazioni e emozioni al mondo. E consegna cautamente gli elettroni, uno per uno, all’avido ossigeno, mentre giostra i protoni all’ingiro fino a sposarli, infine, all’ossigeno così caricato, in placide stabili molecole d’acqua. E accumula l’energia che composti incerti e reattivi liberano acquietandosi in solide unioni. Tensione che alimenta il continuo rimodellamento della cellula, tensione che ci muove e ci guida a rileggere incessantemente, a provare a riscrivere istante per istante, la realtà e la vita.

Ma per la sua ingordigia e invadenza e vitalità l’ossigeno talora prende e scappa, se ne va con un elettrone spaiato, esplosivo, lui da solo o in compagnia d’altri atomi cui l’ha sottratto, o che amano condividere la temeraria instabilità dell’elettrone single e scatenato, dell’emozione insaziata, del pensiero intravisto e incompiuto e infinito.

Li chiamano ROS, li chiamano radicali − liberi, vagabondi, reattivi, incontrollabili.

Indispensabili per attaccare molecole apparentemente inossidabili, che pure vanno trascinate anch’esse nel giro continuo delle danze biochimiche che istante per istante rimaneggiano e ricostruiscono equilibri sempre uguali e sempre nuovi e diversi.

Indispensabili, ma possono far danni. Incrinare e sconquassare equilibri antichi e delicati. E occorrono altri elettroni, altri stimoli emozioni affetti idee, per placarli, perché combinazioni impensabilmente bilanciate di forze e masse e tensioni e cariche possano mutare, trasfigurarsi, danzare e vivere anziché collassare, disgregarsi, sottrarsi al gioco e morire.

Mille sostanze, di continuo rinnovate e captate dal mondo, pronte a donare elettroni per i radicali impazziti, proteggono le cellule. Mille poliziotti e maestri e mercenari e clown e poeti offrono regole e vergate e punizioni e sorrisi e emozioni, per placarti quando l’anima si squarcia e l’energia non trova sfogo. Spesso un’anima ferita ne guarisce un’altra, spesso i ROS si placano a vicenda condividendo i loro elettroni feriti.

I neuroni, cellule coraggiose e dimentiche di sé, iperattive nell’annotare la storia che vedono, che vivono, in sempre nuove riorganizzazioni del loro equilibrio biochimico elettrico e funzionale, cellule imprevedibili e più difficili da proteggere, talora non reggono la tensione continua di una vita fatta di continuo rimettersi in gioco, di scorribande irrefrenabili di molecole impazzite. Invecchiano. Meccanismi di mirabile efficienza e precisione si ossidano e inceppano. Qualunque piccolo difetto si amplifica. Proteine serie, efficienti, affidabili, mancano ai loro compiti, si appartano, si raccolgono a morire: compaiono depositi che denunciano al patologo la sofferenza, i segni di malattie con nomi terribili, Parkinson, Alzheimer...

Ma non c’è il male. E il bene.

C’è solo la vita.

Scommessa ardua, faticosa, che incredibilmente tante volte risulta vincente e si rimette in gioco, incessabilmente, continuamente, sempre sul filo di un equilibrio precario, scombussolato e ritrovato. I ROS, i pensieri impazziti, le ferite dell’anima non sono demoni, sono forze sublimi che muovono il mondo, e possono far male perché non sanno stare in disparte, a guardare.

I radicali liberi fanno male alla pelle, gli antiossidanti la proteggono... Ma i radicali non sono che attimi di vita, e i nostri ortaggi, e farmaci, e vitamine, non sanno zittirli per proteggere la pelle che più ha bisogno della loro vitalità incontrollata e della protezione dai loro eccessi: i neuroni, la pelle dell’anima.

E se pure i moti dell’anima fanno male alla pacata governabilità, senza di loro non c’è vita. Ci antiossidino quanto vogliono! finché al mondo ci sarà ingiustizia, e fame e guerra e dolore, e solidarietà stupore desiderio e amore, ci saranno anime curiose, ferite, tese, accese. Ci sarà vita.

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Ora basta giocare.

La vita, infine, che cos’è?

La vita è un principio, astratto quanto si vuole, che distingue i sistemi che persistono tranquilli, finché forze esterne non ne mettono in discussione l’equilibrio, da quei sistemi che riescono invece a sostenersi solo grazie a interazioni con l’esterno, e tanto complessi da saper sfruttare sorgenti esterne di energia per riprodurre istante per istante la loro struttura e organizzazione, il loro precario e mutevole equilibrio, e capaci anche di riprodursi rigenerando questo stesso ordine, questa stessa organizzazione, in nuovi esemplari.

La vita è un meccanismo ben congegnato che si sostiene e riproduce guidando reazioni chimiche che liberano energia, aiutando il sole a costruire, anziché limitarsi a scaldare stupidamente la terra, nuovi equilibri instabili, e aiutando il tempo, che da solo non saprebbe attaccarli, a disgregarli. La vita è una strada a senso unico che permette al secondo principio della termodinamica di realizzarsi, all’entropia di crescere dove da sola non troverebbe la via, al tempo della materia di scorrere più libero.

Sì, perché la vita non è abbondanza di risorse e spazio per gettare rifiuti, ma la mirabile capacità di trasformar risorse in rifiuti, di far disordine, perseguendo un progetto. Forse, più semplicemente ancora, è il progetto.

Si sopravvive proteggendosi, si vive cambiando nel “tourbillon de la vie”. E la vita stessa non è altro che un modo, la realtà della vita è nel modo d’essere dell’essere vivente. Per questo ci vuole un nome − vita, appunto − e una valenza ontologica: della vita così intesa si percepisce la assoluta realtà.

Qui sta il punto: in sé e per sé, la vita di realtà non ne ha, se per realtà si intende la materia palpabile, è solo un concetto astratto. Ma la vita è reale, ontologicamente reale, come caratteristica immanente, imprescindibilmente connaturata, all’organismo che la possiede e la esprime.

La vita è un meccanismo fisico, un criterio di organizzazione, un principio astratto. Forma non meno reale della materia, immanente nella materia vivente, fisico e fuori della fisica. Interno e che va oltre. Metafisico, appunto, propriamente e precisamente.

E se i più furbi han già capito dove vogliamo arrivare − che c’entra questo con l’anima − sono pregati di non rivelare la fine ai lettori più pacati e volonterosi.

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INSOMMA, CHE NE SAPPIAMO NOI? − Neurofisiologia animale

Finalmente un po’ di neurofisiologia, che il professore deve dimostrare di sapere qualcosa!

Tra quanti sono costretti − da curiosità intellettuale o dal piano di studi − ad avvicinarsi alla neurofisiologia, la gran parte si accomoda su una visione propagandata dal pigro e poco fantasioso meccanicismo dominante: il sistema nervoso è un marchingegno complesso, complessissimo, ipercomplesso, dio quanto è complesso, ma con un chiaro principio costruttivo: è strutturato e organizzato per produrre la risposta comportamentale giusta agli stimoli presenti in ogni momento e situazione.

Bello e chiaro. Ovvio che poi uno fa un passo indietro, arriccia un po’ il naso, e mormora tra sé “certo, ma l’anima è un’altra cosa”.

Certo che l’anima è un’altra cosa, ma anche il cervello, almeno quello dell’uomo, è un’altra cosa!

Comunque, procediamo con ordine.

Il sistema nervoso è costituito da centinaia di miliardi di cellule nervose (neuroni) ognuna delle quali possiede in genere una ricca ramificazione di prolungamenti (dendriti), sui quali fanno contatto decine di migliaia di terminazioni di altri neuroni. Ognuno di tali contatti (sinapsi) genera un piccolo segnale elettrico transitorio quando viene attivato, e tutti i segnali in arrivo si sommano nello spazio e nel tempo a generare un segnale elettrico fluttuante nel corpo del neurone. Ogni volta che tale segnale supera un valore predefinito per ogni neurone (soglia) si scatena un rapido picco di potenziale, detto potenziale d’azione o spike (una fluttuazione di un decimo di volt) all’inizio del prolungamento principale del neurone (assone). Quando il neurone genera uno spike questo si propaga con un meccanismo rigenerativo, ovvero si riproduce tale e quale nella porzione vicina della membrana, percorrendo così tutto l’assone, che può esser lungo millimetri o anche decine di centimetri, fino a raggiungere le terminazioni (da qualche decina a decine di migliaia); le terminazioni sono situate vicino ad altri neuroni (o su cellule muscolari o ghiandolari) sui quali formano sinapsi, strutture nelle quali la membrana delle due cellule è molto vicina: qui la terminazione rilascia, all’arrivo dello spike, piccole quantità di sostanze chimiche (neurotrasmettitori) capaci di generare sulla membrana della cellula bersaglio il piccolo segnale elettrico che si diceva sopra.

La stragrande maggioranza dei neuroni è situata nel sistema nervoso centrale, formato dal midollo spinale e dall’encefalo (la parte situata nella testa). Il sistema nervoso centrale è costituito da gruppi di corpi cellulari di neuroni, alberi dendritici, bottoni sinaptici e corti assoni locali (la materia grigia), e da fasci di assoni che collegano le regioni grigie; questi assoni più lunghi sono in genere rivestiti da un materiale isolante (mielina), che facilita e accelera la conduzione dello spike, e sono raccolti in fasci visibili a occhio nudo (materia bianca).

Tutte le informazioni sensoriali − dalla cute, dalle articolazioni, dai muscoli e dai visceri − relative ad un segmento del corpo entrano nel midollo spinale al livello corrispondente, attraverso fasci di assoni (nervi) raccolti nella radice nervosa posteriore. I circuiti neuronali contenuti nel midollo elaborano risposte riflesse semplici (come il riflesso rotuleo che prova il neurologo picchiettando con un martelletto sotto il ginocchio) e contemporaneamente rinviano le informazioni verso l’alto e ricevono segnali di controllo dall’alto. La porzione anteriore grigia del midollo contiene neuroni che, regolati da questa complessa integrazione di segnali locali e controlli superiori, mandano i loro impulsi verso i muscoli e le ghiandole, attraverso fasci di assoni che escono dalle radici nervose anteriori del midollo.

La struttura del midollo si prolunga all’interno del cranio (tronco encefalico) dove continua a svolgere le stesse funzioni per la pelle i muscoli e le ghiandole della testa e del viso, integrando anche altri tipi di informazioni sensoriali − come quelle che arrivano dal vestibolo, organo dell’equilibrio, e dall’orecchio, dalla lingua, dagli occhi.

Nel tronco encefalico, però, divengono anche sempre più massicci e complessi i compiti di elaborazione e coordinamento sui livelli inferiori del midollo.

Nell’asse nervoso si combinano dunque una polarizzazione ingresso-uscita, postero-anteriore − da dietro (input) in avanti (output) − e una organizzazione gerarchica, salendo dalla coda (nell’uomo manca) alla testa, particolarmente accentuata nella porzione endocranica.

La impressionante mole di informazioni di passaggio nelle regioni inferiori del tronco encefalico (midollo allungato e ponte) viene in parte inviata al cervelletto, che esegue complesse elaborazioni di controllo e restituisce parte dei suoi risultati al tronco encefalico stesso. Buona parte dei comportamenti motori è eseguita e coordinata quasi totalmente a questo livello, senza bisogno di interventi delle strutture superiori (cervello); questo riguarda in particolare schemi motori istintivi e schemi appresi e diventati automatici (uno dei ruoli fondamentali del cervelletto è appunto la gestione di movimenti automatici appresi).

L’informazione di passaggio e l’elaborazione nel tronco encefalico danno origine a intensa attività di gruppi neuronali locali che proiettano in modo diffuso a varie regioni superiori. Tale attività è indispensabile per mantenere attiva la corteccia cerebrale e permettere lo stato di veglia, l’attenzione e un comportamento attivo. La mancanza di questo input al cervello (o la sua attenuazione per lesioni, infiammazioni, pressione da ematomi o altro) produce il coma.

La regione più alta (e anteriore) del tronco encefalico − mesencefalo - è l’ultimo tratto in cui arrivano informazioni sensoriali (vi fanno tappa le informazioni visive). E su questa regione si innestano i collegamenti con i due emisferi cerebrali. A questo livello il coordinamento di tutti i comportamenti motori è completo: le strutture superiori non sono indispensabili per svolgere compiti complessi come, per esempio, respirare e deglutire, mantenere la posizione eretta ed eseguire la raffinata e coordinata sequenza di movimenti che permette di camminare, almeno in piano e in assenza di ostacoli. Inoltre, nel mesencefalo hanno sede importanti gruppi di neuroni (nuclei) che proiettano verso strutture superiori. Uno di questi nuclei, la substantia nigra, svolge un’essenziale attività di modulazione dei movimenti, e la sua disfunzione determina la malattia di Parkinson; un altro sistema di nuclei, nell’area tegmentale ventrale (VTA), modula in modo coordinato due diverse regioni del cervello: una di queste, il cosiddetto sistema limbico, elabora il vissuto emotivo (parte di questa proiezione costituisce le cosiddette “vie del reward”, v. oltre); l’altra, costituita dalle porzioni più interne e anteriori della corteccia frontale, è incaricata del controllo motivazionale e della programmazione del pensiero e del comportamento. Il non corretto equilibrio di questi due sistemi di controllo a partenza mesencefalica dà origine alla schizofrenia.

COMMENTI:
from: dq (mail)
beh, pare che tutto ciò che il sistema nervoso sa fare sia comandare muscoli e ghiandole.
eppure, a pensarci bene, qualunque cosa facciamo, foss'anche ridere piangere o dissertare di filosofia, in ultima analisi si riduce a produrre contrazioni e/o secrezioni...
from: UrSEcZKgJqkSoBtfF (mail)
OtT8OL <a href="http://uzvlapupjzsr.com/">uzvlapupjzsr</a>, [url=http://lrtopprxstya.com/]lrtopprxstya[/url], [link=http://kdxpjnemnzno.com/]kdxpjnemnzno[/link], http://eakrketlzsgc.com/
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