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Fisiologia dell’anima - o, se preferisci, - neuroni & anima
Riccardo Fesce - tutti i diritti riservati (editori e agenti interessati, inviare una mail)
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IX

CHE FARE? − Controllo motorio e comportamento

Finalmente, smettiamo per un po’ di cercare metaspazi nel cervello, e torniamo all’approccio classico: il cervello non serve a pensare, serve ad agire. Del resto, ce l’hanno anche le rane, e non è che pensino poi tanto...

Un aspetto cruciale dell’evoluzione è la comparsa di organismi divisi in segmenti e − forse più cruciale ancora − di organismi nei quali durante lo sviluppo, dopo una segmentazione dell’embrione, i vari segmenti danno luogo a porzioni diverse, anatomicamente, strutturalmente e funzionalmente diverse. Come segmenti cefalici, con gli occhi, o le antenne, segmenti toracici con le zampe, o le ali, e giù fino alla coda, per chi ce l’ha. Quando ogni porzione dell’organismo sviluppa funzioni diverse, e deve dar luogo ad organi e strutture con forme organizzazioni e funzioni diverse, si pongono due problemi. Il primo, che ha affascinato e impegnato gli scienziati ed è stato compreso abbastanza a fondo nelle sue linee generali, è quello di come tali differenze possano generarsi e perfezionarsi in modo coordinato e organizzato durante lo sviluppo dell’embrione, che tutto sommato parte da un’unica cellula che non è per nulla divisa in segmenti. Il secondo è come poi i segmenti diversi e gli organi diversi possano funzionare di concerto per dare ognuno il suo contributo costruttivo alla sopravvivenza dell’organismo.

Lo sviluppo di un organismo complesso è tema difficile e affascinante. I meccanismi di fondo, variegati, molteplici e raffinati, si possono però ricondurre a uno schema di fondo comune e geniale. Per comprenderlo è necessario rendersi conto che ogni cellula è un equilibrio complesso la cui struttura è determinata ed il cui funzionamento è regolato da proteine, grosse molecole che svolgono funzione di sostegno determinando la forma della cellula, funzione di controllo regolando le reazioni chimiche che avvengono nella cellula stessa (e nei suoi numerosi organelli specializzati) e funzione di trasporto e scambio attraverso le membrane della cellula per mantenere concentrazioni diverse di elettroliti e molecole di rilevanza biologica tra l’esterno e l’interno della cellula (e dei suoi organelli). La presenza, quantità e localizzazione delle varie proteine nella cellula − e in particolare le differenze tra un tipo di cellula e un altro − fanno sì che le diverse cellule possano avere forma, struttura, organizzazione e funzione diversa, e che interagiscano in modo diverso tra loro e con la matrice extracellulare. E allora qui sta il trucco: stia pure scritto tutto nel DNA, sublime biblioteca di ricette per costruire ogni proteina che la cellula può volere, il problema è solo decidere il menu della giornata. E’ un circolo vizioso (o virtuoso), perché a decidere che cosa leggere, nel DNA, quali geni “accendere” o “spegnere” e quali proteine produrre, sono sempre e comunque altre proteine (fattori di trascrizione) o piccole sostanze di cui le proteine della cellula regolano la produzione. E allora basta che una cellula cominci a produrre una proteina specifica, che controlla, legandosi in punti specifici della catena del DNA, la produzione di certe altre proteine, alcune utili per specifiche funzioni della cellula, altre capaci di avviare o spegnere la sintesi di altre proteine ancora...

Basta un nulla: una molecoletta, ad esempio l’acido retinoico, che venga prodotto in un punto della cellula che non è al centro. Quando la cellula si divide, una delle cellule figlie ha più retinoico, l’altra meno. Lui regola alcuni geni, e le due cellule producono varie proteine, e fattori di trascrizione, in quantità diversa; si sviluppano diverse, e potranno a loro volta generare cellule figlie ancor più diverse, con destini disparati. Se una cellula uovo è in grado di dar luogo a un intero organismo, è perché non solo possiede tutti i geni necessari per produrre tutte le proteine necessarie ad ogni cellula dell’organismo, ma un gioco sottile, complesso e affascinante lega proteine e geni, che in un sofisticato minuetto si regolano a vicenda e possono generare figure e coreografie complesse e diverse, inoltrandosi per strade divergenti di sviluppo, percorsi apparentemente imprevedibili ma disegnati implicitamente nelle complesse relazioni biochimiche tra DNA e proteine.

Ancora una volta, en passant, abbiamo davanti un salto di qualità nella complessità, rispetto al DNA da solo: un DNA cento volte più lungo, che contenga cento volte tante informazioni, non sarebbe in grado di per sé di generare il grado di complessità che insorge dall’interazione tra DNA e proteine.

In questo quadro alcune proteine − i cosiddetti geni omeotici o “master genes” − sono capaci di orchestrare programmi di lungo respiro, e la loro espressione differenziale in regioni diverse dell’embrione determina destini diversi per cellule simili, che saranno in grado di dar luogo ad organi, o porzioni del corpo, diverse a seconda della loro localizzazione nell’embrione.

In un organismo che presenta strutture corporee e organi ben differenziati, si pone il problema della comunicazione. Se cellule specifiche sono in grado di riconoscere precisi stimoli nell’ambiente esterno, è probabile che la risposta dell’organismo richieda l’attivazione di altre cellule, diverse, magari posizionate in tutt’alta parte dell’organismo stesso. E’ possibile, per la cellula che riconosce lo stimolo, produrre sostanze che, liberate negli spazi extracellulari o nel sangue (se l’organismo ha un cuore e un sistema circolatorio), raggiungano tutte le altre cellule, e quindi anche quelle incaricate della risposta appropriata; questo è il principio che regola la produzione degli ormoni. E’ senz’altro più efficiente, però, soprattutto quando divengono grandi il numero il tipo e la gradazione degli stimoli da riconoscere, e la varietà specificità e intensità delle risposte, aver modo di trasferire selettivamente segnali da un punto all’altro dell’organismo, e magari sommare, confrontare, elaborare i segnali prima di condurli nel luogo dove deve essere generata la risposta.

Questa è la funzione del sistema nervoso. E quanto maggiore diviene la complessità e ricchezza delle informazioni che l’organismo ottiene dall’ambiente esterno, e variegata la possibilità di risposte comportamentali, tanto più cresce la necessità di una organizzazione centralizzata della elaborazione dei segnali, e quindi di un sistema nervoso centrale nel quale tutte le informazioni possano essere messe opportunamente in relazione.

Ecco, la visione classica e chiara della neurofisiologia: mille e mille sensori diversi e raffinati, un sistema di elaborazione dei segnali in grado di calcolare la risposta più adeguata possibile dell’organismo alla realtà esterna momentanea, e sistemi che realizzino tale risposta, controllando sia le attività interne vegetative e viscerali, sia tutti gli elementi che nell’organismo possono produrre movimento, e in ultima analisi una risposta comportamentale.

Ci eravamo persi a seguire come, in questo processo, l’elefantiasi elaborativa del nostro cervello si avventuri nell’astratto, tra simboli sentimenti e aneliti esistenziali, anziché studiare da buoni scienziati come la realtà esterna, gli stimoli e la loro interpretazione determinino il comportamento.

Poniamo subito rimedio.

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Attenzione, saltare! Saltare! qui c’è un’altra botta di neurofisiologia in pillole

NEUROFISIOLOGIA DEL CONTROLLO MOTORIO

Il movimento dei muscoli è controllato da cellule nervose (motoneuroni) posizionate nella parte anteriore del midollo spinale, al livello dove dal midollo esce il nervo che si porta fino al muscolo.

I motoneuroni ricevono un gran numero di segnali sinaptici che ne controllano l’attività elettrica e determinano la frequenza con cui il motoneurone stesso scaricherà “spikes”, impulsi elettrici capaci di propagarsi fino alla terminazione, che all’arrivo dello spike rilascia neurotrasmettitore (acetilcolina) producendo una risposta elettrica nella fibra muscolare e una scossa di contrazione. Tipicamente, per produrre la contrazione di un muscolo, il gruppo di motoneuroni che innerva le sue fibre scarica spikes in maniera coordinata in modo che, fondendo le scosse delle singole fibre, il muscolo nel suo complesso si contragga: tanto maggiore il numero di motoneuroni contemporaneamente attivi in ogni momento, e dunque tanto maggiore la frequenza con cui i motoneuroni scaricano, tanto più intensa la contrazione.

Nei muscoli sono presenti gruppi di fibre modificate che non hanno tanto la funzione di contribuire alla contrazione quanto quella di ospitare terminazioni nervose sensoriali, che vengono attivate dallo stiramento della fibra. I neuroni sensoriali ai quali arriva questo segnale, che informa sulla lunghezza, e variazioni della lunghezza, del muscolo, lo smistano su neuroni della parte posteriore del midollo spinale, che mettono in relazione questa informazione con tutte le analoghe informazioni provenienti dallo stesso muscolo e da muscoli vicini, e inviano tali elaborazioni sia alla rete locale di controllo che ai livelli superiori del sistema nervoso dove sarà integrata in un quadro più esteso. Un prolungamento dell’assone del neurone sensoriale va anche, però, direttamente a fare sinapsi sui motoneuroni che innervano lo stesso muscolo da cui l’informazione proviene: stiro un muscolo e direttamente, attraverso un semplice arco riflesso, i motoneuroni vengono attivati e tendono ad accorciarlo. Dò un colpetto al tendine sotto il ginocchio, questo stira un pochino il muscolo quadricipite (la grossa massa muscolare anteriore della coscia) e l’arco riflesso produce la contrazione dello stesso muscolo e il movimento in avanti della gamba. Banale, come circuito. Poco affascinante e apparentemente di scarso interesse. Pensando un secondo a che cosa questo circuito produce, però, ci si accorge che non è una idea così stupida: decido che voglio mettere la gamba in una certa posizione; a causa di un urto, uno spostamento di peso, di una contrazione involontaria di un altro muscolo, di una accelerazione dell’autobus, del cambio di inclinazione del ponte della nave, la posizione che volevo mantenere cambia un poco; un muscolo si stira, l’arco riflesso lo attiva, si contrae e riprende la posizione. In pratica, un banale circuito di questo tipo aiuta a mantenere la posizione di un segmento corporeo senza dover continuare a ricalcolare e modulare il grado di stimolazione nervosa necessario per mantenere tale posizione.

Fatte le debite proporzioni e considerata la necessità di circuiti più complessi e sofisticati, buona parte della circuiteria del midollo spinale è organizzata secondo gli stessi principi: reti di neuroni che confrontando calcolando e bilanciando i livelli di attivazione dei motoneuroni stabilizzano la posizione di segmenti corporei; aiutano la contrazione di un muscolo impedendo che i muscoli con azione contraria si attivino contemporaneamente; tendono a posizionare muscoli e articolazioni in modo da assumere posture comode opportune o efficaci; facilitano attivazioni coordinate, alternate ed oscillanti di muscoli opposti che costituiscono il disegno di base di comportamenti motori complessi come la deambulazione (e qui una volta tanto sono gli altri ad essere più sofisticati: se è complesso per noi camminare, pensa che casino per un millepiedi!).

Salendo nel midollo si trovano reti via via più complesse − e le circuiterie tecnicamente indicate come central pattern generators (generatori centrali di schemi motori) − che coordinano e integrano comportamenti motori complessi ma standardizzati. Per esempio, per controllare la postura e semplicemente stare in piedi fermo occorrono tutti i circuiti su fino al tronco encefalico, dove arriva anche l’informazione vestibolare dall’orecchio interno a dire qual è la posizione della testa − e indirettamente del corpo − rispetto all’asse gravitazionale.

Queste circuiterie assiali rendono conto anche di comportamenti riflessi complessi: se si tiene sollevato un bambino appena nato tenendo il torace tra le mani, lui estende i quattro arti verso il basso in un riflesso “anti-gravitario”; se lo si sostiene con le mani sotto le spalle, si permette che i suoi piedini tocchino una superficie piana e lo si fa scivolare in avanti, si mette a muovere le gambe in modo coordinato come se stesse camminando. Se si tocca la guancia il bimbo gira la testa, apre la bocca e si mette a succhiare − questo funziona meglio se c’è qualcosa da succhiare, ma non è una risposta ragionevole guidata dalla felice intuizione che c’è la mamma (un meraviglioso oggetto con le tette), è solo attività riflessa. Dunque, anche comportamenti piuttosto complessi si possono interpretare come mere risposte riflesse, sostenute da circuiterie pre-cablate nel nostro sistema nervoso più basso.

Le circuiterie pre-cablate possono anche render conto di comportamenti decisamente complessi e sofisticati che devono coinvolgere anche strutture più alte, anche corticali. Si potrebbero definire tutti questi comportamenti come “istintivi”, e raggrupparli con le risposte riflesse a costituire l’insieme dei comportamenti “innati”.

Già abbiamo discusso il ruolo del CERVELLETTO nel controllare e assistere i movimenti volontari, e le sue grandi capacità di apprendimento, che fanno sì che dopo aver assistito più volte una specifica sequenza di movimenti il cervelletto diventa capace di realizzarla da solo, senza bisogno di un controllo volontario o una supervisione consapevole del movimento: in realtà il movimento diventa anche più preciso e decisamente più veloce. Questo è il tipo più importante di memoria procedurale, e rende conto della esecuzione dei movimenti e comportamenti automatici.

Curioso che tendiamo a pensare ai movimenti, reazioni e comportamenti “spontanei” come a qualcosa di più strettamente nostro, innato e personale; eppure, la maggior parte delle nostre risposte “spontanee” − rapide e non controllate intenzionalmente − sono automatiche e non pre-cablate, e sono pertanto state acquisite per ripetizione: non sono altro che (chi accetterà mai questo) il risultato di condizionamento.

Il comportamento realmente volontario, intenzionale, è regolato da centri ancora più ati, essenzialmente la corteccia motoria, assistita dalle regioni premotorie per gli aspetti di elaborazione programmazione e preparazione. Va osservato però che, con l’organizzazione gerarchica del controllo motorio che abbiamo appena descritto, per poter eseguire anche il più banale movimento che la corteccia possa sognarsi di comandare vanno controllati, inibiti o modulati un numero incredibile di riflessi, contro-movimenti e reazioni di riequilibrio che le strutture più basse interporrebbero. E dunque qualcosa nella testa deve tener conto di tutti i sistemi di controllo più bassi, e suggerire alla corteccia quali gruppi muscolari vanno stimolati e quali vanno inibiti per eseguire anche il più semplice dei movimenti intenzionali senza essere contrastati da tutte le circuiterie riflesse. Questo è il ruolo dei GANGLI DELLA BASE, che ricevono informazione su qualunque comando motorio che la corteccia voglia inviare e rimandano alla corteccia tutte le indicazioni necessarie su quali muscoli vadano facilitati e quali inibiti per eseguire correttamente il movimento desiderato.

I gangli della base ricevono input anche dalle aree pre-motorie della corteccia, le regioni dove si studiano e preparano i movimenti prima di eseguirli. In questo modo i gangli della base possono modulare tutti i comandi della corteccia in modo tale da favorire anche i movimenti che dovranno seguire. Si possono così eseguire sequenza complesse di movimenti con grande fluidità, armonizzare compiti motori diversi che vadano eseguiti contemporaneamente, e conciliare programmi comportamentali su diverse scale temporali. Questo spiega perché li disfunzioni dei gangli della base − come ad esempio nella malattia di Parkinson − interferiscano così drammaticamente con l’inizio e l’esecuzione dei compiti motori.

Ancora una volta, si può qui riprendere l’osservazione generale che un circuito capace di svolgere una specifica elaborazione cognitiva la eseguirà in genere su tutto il materiale che gli venga sottoposto. Così il cervelletto non si usa solo per l’apprendimento motorio ma per ogni forma di apprendimento procedurale, come per esempio ripetere le tabelline, una poesia o una preghiera, o eseguire il controllo grammaticale e sintattico delle frasi mentre parliamo, e ogni altra procedura puramente automatica nelle prestazioni cognitive. Allo stesso modo i gangli basali non solo aiutano ad armonizzare sequenze complesse di movimenti − e mostrano una rilevante capacità di apprendimento sotto questo profilo − ma applicano lo stesso schema computazionale alla elaborazione di informazioni visive, uditive e cognitive. Così, grazie al dialogo tra parte posteriore dei gangli della base e corteccia occipitale (visiva) si può rendere continua una sequenza interrotta di immagini, sia osservando una scena da svegli (possiamo “vedere” una persona che cammina mentre passa dietro a una colonna), sia generando i sogni mentre dormiamo, o le allucinazioni in presenza di malattie psichiatriche o a seguito della somministrazione di psicofarmaci e droghe.

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Il problema, nel discutere il comportamento umano cercando di essere scientifici, è che alla scienza si chiede (e da una cinquantina d’anni questo è sbagliato) un approccio determinista: il sistema nervoso è un marchingegno fatto per produrre le risposte adeguate agli stimoli, in modo da mantenere stabili le condizioni dell’organismo − quando va bene − e riportarle in equilibrio quando qualcosa non va. È l’idea del black-box: entrano dei segnali, succede qualcosa, esce un risultato, e compito della scienza è definire come funziona il black-box. La difficoltà nasce quando le pulsioni, le motivazioni, i beni tra i quali occorre scegliere sono equivalenti: in tal caso un intelletto inteso come black-box non fornisce indicazioni, la volontà resta indecisa, la scelta non ha luogo e si fa la fine dell'asino di buridano, che muore di fame perché non può SCEGLIERE tra due stimoli uguali e contrari.

E poi a muovere il comportamento ci sono anche desideri e ambizioni, sentimenti emozioni e valori: è lo spirito che stuzzica i neuroni? o come si traducono queste pulsioni astratte in forze motivazionali capaci di muovere la rete nervosa?

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Ogni istante mille forze riflesse istintive apprese viscerali razionali affettive etiche ideali si affrontano nel cervello per decidere i tuoi gesti, le tue parole.

E l’anima si misura dal risultato che questo turbinio di forze produce.

Ogni scelta conferma, nega, ritocca l’equilibrio che tu la tua storia le tue scelte passate avete stabilito tra le forze che ti guidano,

E ti ritocca l’anima − TU ti ritocchi l’anima − segnando tratti del tutto, o in parte, o per nulla nuovi negli equilibri che guidano le scelte, e scrivendo così la tua vita e il tuo futuro.

Futuro scritto come un appunto, da rileggere e riformulare − uguale o quasi, o diverso − tra un istante un giorno un mese un anno,

Quando per una o mille nuove esperienze, e soprattutto per come le avrai vissute − avrai VOLUTO viverle − deciderai di scegliere altri equilibri.

NULLA STA SCRITTO.

Ma ciò che non è scritto non è il CASO.

Certo, il caso può spingerti, di qui o di là.

Ma in ogni istante un soffio lieve decide, tra turbini di venti contrastanti, la tua direzione, e ti porta altrove, dove cambia il gioco dei venti.

La tua storia forse è il gioco dei venti, ma forse più ancora è quel soffio, quel batter d’ali di farfalla che in ogni istante decide i futuri uragani della tua vita.

Le ali, la farfalla, non sono il caso. No. è l’anima.

L’anima che di sfumatura in sfumatura si forma e cresce.

Se daimon c’è, che governa le tue scelte e i tuoi bisogni, lo costruisci tu, una pagliuzza alla volta in ogni istante della vita

Si avvertono chiari i soffi lievi, il frusciar d’ali.

E altrettanto si riconoscono le anime ferme, si sente l’aria stantia.

Entusiasma invece incontrare anime che indomite sanno ritoccare, cambiare, crescere.

che sanno ESSERE.

Curiose, attente, molteplici, mobili, vive.

Se ne sente il profumo, dagli occhi, dallo sguardo, dai gesti, dall’emozione.

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L’idea di un bilancio contabile non è accettabile per chi si guarda dentro e non rinuncia a passione sentimenti angoscia impegno dubbio e paura di sbagliare.

In realtà dentro al black box c’è una molteplicità troppo spesso sottovalutata − ci son più cose − com’era quella? − sì, e ce ne sono più di quante riusciamo a immaginare anche nel nostro sistema nervoso.

È vero che gli stimoli sensoriali possono produrre risposte, ma il dato essenziale è che non fanno solo quello.

Ogni input al nostro sistema nervoso influenza l’attività di migliaia di neuroni e in ognuno di essi viene combinato e integrato con dati diversi − ogni neurone e ogni sistema di neuroni calcola elabora e riconosce elementi e relazioni diverse tra input in parte coincidenti e in parte no.

È quello che si definisce processing parallelo − mille sistemi che elaborano in modo diverso le informazioni, contemporaneamente, ognuno con criteri, obiettivi e logiche diverse, ognuno attento a ciò che gli interessa riconoscere.

Quindi gli stimoli producono sì risposte ma le risposte non sono calcolate da una macchina: è sempre un gioco tra tante possibili risposte, tra tante elaborazioni che avanzano contemporaneamente.

Può essere interessante analizzare qualche aggettivo che si riferisce ai comportamenti: riflessoistintivoinnatoautomaticospontaneoconsapevolevolontariorazionaleetico.

RIFLESSO è quasi inevitabile: un circuito neuronale, ti danno una bacchettata sotto il ginocchio, il muscolo si stira, il nervo porta il segnale al midollo, attiva il neurone che contrae il muscolo e dai un calcio; solo con molta cura, e se te lo aspetti, riesci a evitarlo

ISTINTIVO è più complesso, ma sa di circuiti nervosi, riflessi, roba già scritta: sollevi un neonato tenendolo per il torace a pancia in giù e stende braccia e gambe verso il basso, come per attutire la caduta... se lo sostieni eretto su un piano e lo fai scivolare in avanti muove le gambe come per camminare; sono comportamenti anche complessi, come succhiare e deglutire appena gli tocchi l’angolo della bocca, ma è sempre qualcosa di già predisposto nel sistema nervoso. E rende conto di gran parte dei comportamenti degli animali.

INNATO è più sfumato, sa un po’ di differenze individuali, qualcuno può pensare a fati destini e daimones, oltre ai geni e ai circuiti... certo però non ha alcun sapore di libero arbitrio.

AUTOMATICO si impara − stiamo abbandonando il terreno dei comportamenti scritti a priori nei circuiti neurali, − e può essere assai complesso, permette addirittura prestazioni che non sapremmo riprodurre pensandoci su, raffinato ed efficiente... Si può ripetere una poesia a memoria in modo automatico, suonare un pezzo difficilissimo al pianoforte, e viene meglio se non ci si pensa, se no ci si inceppa... Soprattutto, si può giocare alla playstation in modo automatico: mai cercare di capire che bisogna fare, in modo razionale, solo addestrarsi a premere rapidamente i tasti e lasciar fare alle dita.

SPONTANEO pare un po’ la somma di istintivo, innato e automatico, un po’ già scritto e un po’ imparato, complesso ma rapido, senza pensarci, inconsapevole.

Ed è interessante che già qui geni e daimones hanno perso il controllo: ciò che vediamo e viviamo come spontaneo, in realtà è in maggior misura APPRESO che innato.

Saliamo ancora (fin qui eravamo sotto la corteccia cerebrale) e c’è il CONSAPEVOLE, guardarsi agire, raffrontare i diversi schemi di reazione, riconoscere che facciamo e che cosa ci guida.

E finalmente compare la scelta: VOLONTARIO (in senso stretto, INTENZIONALE, perché fisiologicamente qualunque muscolo che si possa muovere volontariamente è detto volontario, anche se si muove senza che ce ne accorgiamo, come i muscoli respiratori): intenzionale è non più solo lasciarsi portare, ma intervenire.

Ad ogni passo nuove possibilità, e più complessità, e molteplicità crescente.

RAZIONALE è tutto questo, e in più attenta analisi e sintesi, logica e armonia.

Cruciale, in questa escalation, il TEMPO: risposte riflesse in millisecondi, circuiti innati più complessi chiedono forse qualche decina di millisecondi, le risposte automatiche forse qualcosina in più. L’atto volontario richiede decimi di secondo − è proprio la struttura e la complessità dei circuiti coinvolti che lo richiede − e la risposta razionale può chiedere secondi, talora minuti o una buona notte di sonno.

ETICO, infine, a guardar bene aggiunge solo la bellezza. Armonia, capacità di accordare esigenze diverse, di tener conto della realtà, degli altri, dell’amore, del buono e del giusto. Di tutto.

E più si sale in questa scala più si sente odore di anima

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Identità − io

Strani equivoci e paradossi : dolce amaro gustoso piccante acido insulso... gli aggettivi “sensoriali” più efficaci, quelli che paiono cogliere L’ESSENZA delle cose, sono gustativi − il senso più viscerale

Certo, la parte del cervello che elabora le emozioni è strettamente legata alle regioni che controllano le funzioni viscerali; ma dunque è lì la parte più profonda di noi, è per di lì la strada verso l’essenza dell’io (es?, anima?)

Torniamo il comportamento: pare che ciò che è spontaneo dica di più di noi come siamo davvero, la parte più profonda e vera. Stupidaggine! − dice di più su una parte di noi, quella più rapida, meno complessa, più biologica, meno molteplice, meno bella, di noi − e non meno bella perché sia brutta, semplicemente perché è banale e non profuma di molteplicità, complessità, libertà, non profuma di anima

Profumo? sì, profumo, mughetto odoroso, e fredde bellissime orchidee; come le persone, vien da dire, alcune bellissime, ma senza tesori nascosti, altre come timidi, ma profumati rosmarini. È facile il parallelo tra profumo e anima − niente di strano, per carità − la parte del cervello che analizza gli odori è tra le prime a svilupparsi evolutivamente; quasi tutti gli animali hanno una corteccia olfattiva più sviluppata della nostra − questo è ovvio: il naso permette di localizzare nemici, prede, cibo, incendi, sostanze tossiche, partner e relative disponibilità sessuali − è la parte di cervello vicina, intrecciata, alla corteccia più antica: quella che elabora le sensazioni viscerali e che muove la vita emotiva.

Forse per questo ciò che profuma pare ci parli più direttamente nel profondo. E più profondamente segna i nostri ricordi. Perché ciò che muove quella parte del cervello, ancestrale viscerale emotiva, lascia segni più profondi (dobbiamo menzionare Marcel e la sua madeleinette?) − dunque profumo, viscerale, emotivo...

Ma che diavolo! cerchiamo ciò che guida le nostre scelte, l’essenza del nostro io, ciò che sembra più vero intimo incontaminato e ineffabile in noi, vicino all’anima, e finiamo sull’istintivo e sul viscerale, quanto di più biologico, corporeo e carnale si può trovare nei sublimi giochi dei neuroni, qualcosa di ben meno spirituale di astrazioni logiche, ragionamenti, fantasie sogni e desideri, ideali impegno e sensibilità al bello e al giusto...

Insomma, pare che l’individualità più profonda, lungi dall’essere puro spirito, sia radicata e intrecciata nel modo più stretto e profondo alla nostra visceralità, alla carne, alle cellule, ai nervi, alla biologia, alla materia − eppure, chi non vedrebbe tutto questo come parte − parte profonda, irrinunciabile − dell’anima?

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Occorre cambiare sguardo. Non si può considerare il cervello come una macchina che genera risposte e guida comportamenti sulla base degli stimoli che l’organismo riceve. Non si può neppure avvicinarsi a comprendere come il cervello regoli il comportamento senza prima essersi stupiti, meravigliati e incantati di fronte alla ricchezza e molteplicità delle sfaccettature di ogni attività del sistema nervoso, dalla semplice percezione di suoni, odori, immagini, alla colorazione emotiva ed affettiva di ogni esperienza, pensiero, parola.

E dunque parliamo di scelte, di dubbi, ma le questioni vere, i dubbi seri, che so, “to be or not to be?”... È evidente che qui si esce dal dominio del semplice calcolo, che la scienza può spiegare. Ma mi piacerebbe provare a mostrare che qualcosa c’e da dire anche in questo senso.

Ancora una volta si pone la questione della molteplicità, e dell’interezza. La scelta diviene INDIVIDUALE quando in essa entrano in gioco tutte le componenti, cognitiva emotiva affettiva estetica e d etica; conoscenze ricordi desideri affetti fantasie sogni passioni impegno...

Sì, il dubbio, la scelta, il gesto, è nostro, individuale, sia che ci guidi l’istinto l’emozione o la ragione. E deve considerare anche il “mondo là fuori”, e che le risposte cambiano, sì, e spesso il problema è proprio che le scelte, invece, i gesti una volta fatti non si possono ritirare...

D’altra parte qui sta l’essenza del libero arbitrio, che nasce dalla possibilità di scegliere sulla base di cento procedure diverse di valutazione e di motivazione che si confrontano e affrontano nei centri che guidano i gesti, le azioni, i comportamenti, i progetti.

Non c’è calcolo che tenga. È un meccanismo complesso, intersezione di mille processi, e una semplice sfumatura potrebbe portare a scelte e risultati totalmente diversi. C’è un approccio scientifico, sviluppato per affrontare sistemi di questo genere; è la matematica dei sistemi non lineari, la teoria del CAOS − che nulla ha a vedere con il CASO salvo esserne un anagramma. Approccio potente che permette di descrivere, in parte di comprendere il comportamento, di individuare “bacini di attrazione” (tipi di comportamento nei quali il sistema tende a ricadere) e crinali, dai quali il sistema precipiterà verso uno o l’altro sviluppo, magari diametralmente opposti, anche per una impercettibile differenza in uno qualsiasi dei parametri interni o esterni, come una pallina posta sulla lama di un rasoio. Permette di descrivere, CAPIRE − se ci piacciono le parole grosse − ma mai di PREVEDERE. Basta un filo, un nulla misurato male, trascurato, e il sistema cambierà in modo imprevisto.

E per il comportamento umano questa imprevedibilità ha il sapore dell’unicità. Individualità, libertà, creatività.

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Ciò che è davvero individuale è la combinazione di tutti i nostri modi di reagire, dai riflessi alle reazioni spontanee e viscerali, a ciò che abbiamo appreso automaticamente, fino alle valutazioni razionali ed etiche.

E dunque il dubbio, la scelta, il gesto, è nostra, INDIVIDUALE, sia che ci guidi l’istinto l’emozione o la ragione: semplicemente nel sistema nervoso si muovono contemporaneamente analisi e valutazioni che considerano aspetti diversi con sguardi diversi − è un avanzare concorrente e tumultuoso di elaborazioni indipendenti, come in un’assemblea non troppo ordinata − o in una serata tra amici − dove uno prende la parola, un altro lo interrompe e porta a parlar d’altro...

L’aspetto forse più interessante è che questo è esattamente il nostro modo di elaborare, il modo in cui lavora il cervello

È così per i ricordi, le emozioni, i desideri, il pensiero, il ragionamento, i sogni.

A ogni stimolo − esterno o interno (immagini, idee, parole dette o pensate) − ogni sistema propone le sue associazioni − siano esse sensazioni, emozioni, immagini o episodi della memoria, evocazioni di altri concetti, di altre parole

E finisce che si segue una via nuova, spesso inaspettata, esattamente come il pensiero segue finché riesce un filo, ma appena una parola o un’immagine produce una evocazione forte si trova spiazzato, come un turista che abbandona il giro proposto dalla guida, distratto da uno scorcio inatteso.

Ogni cervello diverso è distratto / attratto da prospettive diverse... La corteccia primaria è piuttosto invariante. di fronte all’illusione ottica siamo tutti ingannati allo stesso modo, perché elaboriamo l’immagine tutti nello stesso modo, nessuno ha una corteccia più furba degli altri. Ma quando consideriamo le parti della corteccia che elaborano, quando ci ragioniamo sopra, allora ognuno ragiona e interpreta a modo suo. Perché ognuno di noi nel percorso del pensiero, della valutazione e della scelta, evoca associazioni diverse, e diverse immagini, memorie, emozioni, desideri, storie.

Per questo non si possono prevedere le nostre scelte, non c’è vincolo, predestinazione, automatismo, banale calcolo determinato dai geni e dall’esperienza

Non si possono prevedere, come non è possibile prevedere quale sarà domani il valore di un’azione in borsa − anche se si capiscono in dettaglio i meccanismi che determinano questi andamenti e anche prescindendo da eventi casuali o imprevedibili (guerre, soffiate ai loro amici da parte di premier legati alla finanza...) − perché l’andamento di borsa è risultato di molte teste, ognuna che valuta alla sua maniera.

Gli esperti ti insegnano che se vuoi prendere una decisione in maniera razionale devi procurarti carta e penna, e scrivere vantaggi e svantaggi, magari con punteggi, per le varie ipotesi, arrivare ad avere una tabella che ti permetta di vedere tutto lì davanti, insieme.

Ma perché serve questo? banale, perché il cervello non lo fa: come il pensiero segue un filo ma ogni evocazione lo svia e arricchisce, così facciamo anche le nostre valutazioni. Par di seguire un filo, ma i fili sono cento, e ora si impone un aspetto, ora l’altro, ora un’emozione dà più peso a una prospettiva e sbilancia verso il pro, ora un ricordo riporta su altre considerazioni.

Non sono cento valutazioni contemporanee, cento forze − motivazioni − che tirano pro o contro, e il RISULTATO DEL CALCOLO determina il o il NO.

No: ogni valutazione si evolve nel tempo, cambia l’intensità della sua forza motivazionale, ma non solo: ora il faro dell’attenzione ne illumina una, ora di più un’altra.

Abbiamo visto come già a livello di corteccia sensoriale la circuiteria sia capace di raccogliere e analizzare, e poi rielaborare, comparare, seguire nel tempo: un processo inconsapevole e complesso di spostamento del fuoco, avvicinamento e indietreggiamento, cambio di visuale e prospettiva. Lo stesso processo si verifica nelle regioni multimodali, dove si combinano diversi tipi di informazioni in cerca di assonanze e dissonanze, relazioni con impulsi emotivi, bisogni fisiologici e forze motivazionali. Un esame che mettendo a fuoco prima ogni singolo dato e poi combinazioni diverse, e tutto daccapo secondo sequenze differenti, racconta l’esperienza portando alla soglia della coscienza eventi, concetti, e la consapevolezza stessa della realtà e di se stessi.

Sotto la scelta si muovono processi analoghi: una gerarchia di circuiti nervosi, e ogni sistema sfrutta l’elaborazione prodotta in ogni momento dai sistemi sottostanti, e di qui estrae aspetti rilevanti e letture coerenti navigando in questo mare di elaborazioni. Ad ogni aspetto dell’informazione viene attribuito una rilevanza specifica ed ognuno va messo in relazione e combinato con gli altri dati di analoga rilevanza, per ottenere in ogni istante la “risposta” migliore, o meglio forse la miglior “lettura”.

Ma non è calcolo. Piuttosto, le molte analisi e valutazioni che considerano aspetti diversi con sguardi diversi, e si muovono simultaneamente nel sistema nervoso, possono spingerci a scegliere subito, e dire SÌ, o attendere un poco e finire per dire NO.

Non è un calcolo, una volta per tutte: ogni valutazione fornisce un risultato che cambia nel tempo, e i centri che controllano la motivazione ora ne analizzano una, ora di più un’altra. Innumerevoli procedure diverse di valutazione e di motivazione si generano, si alternano, si confrontano e si affrontano nei centri nervosi che guidano i gesti, le azioni, i comportamenti, i progetti. E basta talora un solo istante in più perché una nuova valutazione prevalga, in genere più complessa, spesso più valida. Imprevedibilità del comportamento umano. Imprevedibilità della nostra scelta persino per noi stessi. Perché ci sono matematiche capaci di descrivere processi come questo, complessi e cangianti − le affascinanti matematiche dei sistemi non lineari, del caos − matematiche capaci di descrivere, e di definire probabilità, crinali e bacini di attrazione, ma non di prevedere il comportamento, che può risultare totalmente diverso per una sola impercettibile, infinitesima differenza in un qualsiasi dettaglio.

Eppure, se si potesse conoscere con precisione ogni più piccolo dettaglio...

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No.

Non si può.

Questo è uno dei progressi culturali più importanti del ventesimo secolo. Il principio di indeterminazione di Heisenberg − principio di incertezza − ci assicura che persino in un sistema relativamente semplice come un atomo non si può sapere dove sia precisamente un elettrone in un momento particolare, e più precisamente si riesce a determinarlo tanto meno si sarà in grado di definirne la velocità momentanea. Non è solo un problema di accuratezza della strumentazione di misura disponibile − magari un domani saremo in grado di... − no, ogni elettrone ha una probabilità precisa di essere in ogni posizione in ogni istante, questa si può calcolare, ma la posizione precisa non si può sapere, meglio ancora non si può definire.

Questo è sicuro. Una delle poche cose su cui possiamo fare affidamento. la sicurezza della nostra incertezza.

E se la posizione di uno stupido elettrone NON SI PUÒ DEFINIRE CON PRECISIONE, lo stesso principio dovrebbe garantire che non c’è modo di DEFINIRE (nota, non si tratta neppure di “sapere”) CON INFINITA PRECISIONE tutte le forze e motivazioni che si affrontano nel cervello, e la loro forza, e la sequenza con cui saranno valutate, e quale sarà il momento preciso della decisione e in che modo ogni forza e motivazione verrà considerata e pesata in quel preciso istante.

Quando ero giovane e cattolico la cosa che mi irritava di più di tutta la faccenda erano i “Misteri” (M maiuscola). Non che mi disturbino i misteri, l’ignoto, le difficoltà, anzi. No, il fatto che non si potessero capire. Intendiamoci, anche la teoria della relatività non è mica facile. Ma quelli non si POTEVA capirli, era VIETATO. “La mente umana non può...” − contraddicono la logica, in parole povere. Ma è assurdo. Appunto. E’ un MISTERO, ci si crede − la fede − e basta.

In fondo al cuore ho sempre sperato di demolirne almeno uno.

Beh, ora il MISTERO DEL LIBERO ARBITRIO sembra essere quello giusto da chiarire.

Oddio, il libero arbitrio è una questione infida di per sé, ma che cosa ci sia di così “misterioso” non appare a prima vista: forse bisogna essere cattolici per capirlo.

La questione (il “Mistero”) è:

a) sei libero di agire secondo il tuo “libero arbitrio”

b) Dio sa tutto e

c) benché tu possa essere considerato come il prodotto naturale della procreazione da parte dei tuoi genitori, Dio ha CREATO la tua anima, per cui

d) Dio ovviamente sa che cosa farai in ogni occasione

e) se avesse voluto che tu facessi qualcosa in modo diverso avrebbe creato la tua anima diversa

f) ciononostante, è corretto che tu sia da ritenersi responsabile, e ricompensato o punito, per le tue azioni, perché sono conseguenza delle tue LIBERE scelte

g) il MISTERO − ciò che sfida la logica umana − è come tu possa essere responsabile per come Dio ti ha fatto, e come possa Dio sapere che cosa farai se tu cambi idea continuamente.

Ma abbiamo appena detto che non è possibile DEFINIRE CON INFINITA PRECISIONE il gioco motivazionale e di conseguenza prevedere la scelta umana, che è pertanto intrinsecamente, costitutivamente imprevedibile. Dio potrà anche sapere tutto, ma non servirebbe a nulla, nemmeno a LUI, sapere qualcosa che non si può DEFINIRE.

Ecco, non c’è nulla da sapere. E tu sei LIBERO. Nessun MISTERO.

Questo è uno dei miei aspetti preferiti del potere meraviglioso del principio di indeterminazione.

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Così non è possibile conoscere con precisione tutti i dettagli, e la scelta umana è intrinsecamente imprevedibile. Come un sistema non lineare, caotico. Di cui puoi dire come è probabile che si comporti in questa o quella condizione, ma non potrai fare nessuna predizione con un ragionevole grado di sicurezza. E non è questione di CASO. La scelta è processo “deterministico” (causa ® effetto), non casuale, ma è così complessa che il risultato sembra influenzato, o addirittura determinato, dal caso.

La scelta è imprevedibile. Geni fatti e circostanze non sono sufficienti a prevederla, e il caso non vi ha nulla a che fare...

Una imprevedibilità che sa di unicità, di individualità, di libertà e creatività.

“E se io...”, allora, non è “un’altra storia”, non è la storia impossibile, un futile gioco; è il dubbio, il rimpianto, il rimorso. È la verità possibile e la storia possibile, se un dettaglio non ci fosse sfuggito, se un istante impercettibile di attesa avesse permesso a circuiti neurali più complessi e lenti di aggiungere altri criteri di valutazione prima di una nostra scelta importante.

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Che cosa ci muove? − l’impeto del bisogno, desideri, paure e sogni, e poi progetti e razionalità... ma la razionalità è molteplice esigente articolata capziosa grigia e mai contenta − come un mare dispettoso, talora tempestoso, correnti impreviste e venti mutevoli − spesso vorremmo qualcuno accanto, se non a dirci che fare almeno a condividere il peso e la responsabilità − qualcuno che almeno ci guardi, ci tenga la mano, ci sorrida, non ci lasci soli.

Sono tre gli assi sui quali i vari livelli del comportamento si muovono:

IL TEMPO:

  • i circuiti già scritti rispondono in millisecondi;
  • i comportamenti automatici sono comunque rapidi, se cerchi di costruire i tuoi passi di danza, le tue dita sul piano, le parole di una poesia o preghiera imparata a memoria, inciampi e ti impicci;
  • gesti volontari richiedono decimi di secondo;
  • scelte razionali almeno secondi − meglio dormirci sopra
  • e per un gesto etico può non bastare una vita intera.

LA MOLTEPLICITÀ: più tempo lasci alla tua reazione, più approcci si confrontano; non necessariamente l’istinto soccombe, ma non è più l’unico fattore. Molteplicità − ogni aspetto in sé ma anche rispetto a tutto ciò con cui lo si può rapportare − regole e logiche interne, sì, ma viste anche da fuori e in relazione ad ogni altra logica possibile. E analisi e rilettura in ambito più vasto − metanalisi − e sistemi più elevati alla ricerca continua di sguardi unificanti, di ARMONIE anche solo momentanee. E dunque

LA BELLEZZA: se anche il gesto automatico può diventare perfetto − sotto il profilo sportivo, e formale − c’è comunque una bellezza più alta nel gesto etico, fatta di sintesi di tutti gli aspetti e dimensioni: l’etica, in fondo, non è che sapersi guardare, e scegliere il gesto più bello in assoluto, capace di armonie in più dimensioni.

Qui c’è qualcosa cui la neurobiologia non ha ancora prestato attenzione sufficiente: circuiti capaci di scatenare il piacere più profondo − quale ne può generare un sorriso, un gesto d’amore − quando un’intuizione, uno sguardo nuovo e inatteso, un insieme di sensazioni crea l’armonia di una nuova felice sintesi di molteplicità: il piacere del bello... anche questo, nei circuiti neuronali, e da studiare con più cura

Ma se tutto questo sta nel sistema nervoso − e ci sta − non è più consentito guardare il cervello solo come sistema di controllo input-output, studiato per ottimizzare la risposta agli stimoli in arrivo.

Ma, viene da dire, se è comunque un sistema di calcolo, per quanto complesso, a eseguire le valutazioni, e se è così incapace da non saper davvero valutare tutto insieme, ma si fa prendere ora da una prospettiva ora dall’altra, se davvero basta in istante di attesa per reagire in modo diverso... insomma, così sembra ancora un caso, non ci sono IO a decidere, c’è solo un fluire di valutazioni e chissà come una ad un tratto vince e... zac!, la scelta è fatta. Dove se ne va tutta la poesia, e l’angoscia e l’entusiasmo?

No, non è un caso. Sarà il modo in cui TU ti muovi tra le varie valutazioni, il peso che in esse hanno PER TE gli aspetti affettivi, e di autoaffermazione, e di paura e ricerca di stabilità e protezione, e sociali e politici e ideali; sarà il modo in cui TU hai imparato a muoverti in questo labirinto, saranno I TUOI TEMPI, a determinare infine quale sarà la tua scelta. Non i tuoi geni. Non le esperienze che hai vissuto (l’AMBIENTE). Ma COME TU le hai vissute. Come TU − con i geni che ti sei ritrovati, con tutte le esperienze che hai affrontato, certo, − come TU hai via via modificato i TUOI MODI di elaborare, modificando connessioni e circuiti tra i neuroni; come TU di volta in volta hai fatto le tue scelte, modificando così via via anche il TUO modo di fare le scelte, i TUOI tempi, i TUOI criteri.

Oggi conosciamo molti processi cellulari che fanno sì che i neuroni modifichino le loro connessioni e il modo di elaborare i segnali che si scambiano proprio in funzione dell’informazione stessa che elaborano − ogni esperienza cambia i circuiti che la analizzano, il cervello si modifica elaborando, così come il linguaggio evolve parlando: ogni relazione identificata, ogni analogia e evocazione, diviene paradigma e sguardo nuovo nell’elaborazione futura dei dati, come ogni parola usata in un contesto diverso assume nuovo colore, significato e potere evocativo − i circuiti cambiano, sono modulati e via via ritoccati in ognuno di noi, in ogni momento, e sono diversi oggi da come erano ieri e saranno domani.

E dunque − molto più dei suoi geni, delle sue interazioni con l’ambiente e dei suoi atti − ognuno di noi è il MODO in cui ha vissuto le sue esperienze, in cui ha fatto le sue scelte, i TEMPI, gli EQUILIBRI, le ARMONIE secondo cui ha imparato a pensare e agire.

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Qui dunque, in questo oscillare tra mille valutazioni, sta l’origine del libero arbitrio. E per questo non si possono prevedere le nostre scelte, non c’è vincolo, predestinazione, automatismo, banale calcolo determinato dai geni e dall’esperienza.

Nemmeno le nostre stesse scelte possiamo prevedere...

L’origine di tutto questo sta in quella parte del nostro cervello che esplora, naviga tra valutazioni motivazioni e scelte possibili, e fluttua imprevedibilmente, imprevedibilmente ma non a caso, guidata dai più fini dettagli, dai criteri che noi stessi abbiamo costruito nel nostro cervello eseguendo ogni singolo atto che abbiamo eseguito fino ad ora, interpretando ogni esperienza che abbiamo interpretato, giudicando ogni evento che abbiamo valutato finora.

Come un riflettore interno, illumina una ora l’altra area capace di suggerimenti comportamentali e forze motivazionali, cercando vagamente di seguire un percorso logico nel fare un ragionamento, nel fare una valutazione etica...

La caratteristica cruciale delle nostre scelte è questo fluttuare. Non è che a poco a poco ci si sposta, che so, da un sì, gradualmente, un passettino alla volta, verso il no... Piuttosto, continuiamo a cambiare prospettiva. Se in un preciso momento ti chiedessero di decidere “ora”, decideresti in un modo, se te lo chiedessero dieci secondi dopo probabilmente la tua scelta sarebbe diversa, proprio perché il quadro che compare in ogni momento è diverso, in ogni istante la tua attenzione, in questo momento è più rivolta ad aspetti emotivi, in quell’altro momento più a sogni, memorie, ricordi, in un altro ancora ad aspetti più razionali...

Qui dunque, in questo oscillare tra mille valutazioni, nel modo che ognuno di noi ha sviluppato, nella sua STORIA, per barcamenarsi in questa bufera di venti contrapposti, sta l’origine del libero arbitrio. E per questo non si possono prevedere le nostre scelte, non c’è vincolo, predestinazione, automatismo, banale calcolo determinato dai geni e dall’esperienza.

È il libero arbitrio, e al tempo stesso la maledizione del rimorso, del rimpianto.

Perché in fondo, ciò che estenua è il conflitto − solo questo forse chiede chi deve affrontare una scelta difficile o dolorosa: che il conflitto finisca − che le mille forze che si agitano nell’anima si accordino, si plachino, smettano una buona volta di ridisegnare ogni istante luci e ombre diverse, di generare dubbi.

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La fregatura di una generazione di genitori, esposti senza preavviso alle rivoluzionarie teorie pedagogiche del dr. Spock (Benjamin, non quello con le orecchie a punta − o forse ce le aveva anche lui le orecchie a punta, ma nessuno ce l’ha mai detto... o forse confondo i nomi non si chiamava neppure Spock...): bisogna capire e spiegare, il bambino deve capire.

È finita che per molti di noi questo ha significato semplicemente bando ai divieti, bando agli obblighi per queste povere creature.

Ora, il problema non è se siano cresciuti meglio o peggio − certo in genere sono meno rispettosi, non dicono “buongiorno dottore” “buonasera signora” non cedono il passo o il posto in autobus...

No, il problema è che senza divieti e obblighi è una fatica immane! per loro!

Insomma, dagli tregua, a questo bambino, dagli qualche sicurezza! Qualche regola basata sull’autorità, che lo liberi dal conflitto. Lascia che qualche volta se la prenda con te invece di lottare dentro di sé tra desideri e razionalità.

Non sempre, per carità, che abbia anche lui qualcosa da rimuginare, qualche battaglia interiore da combattere... Ma, almeno ogni tanto, DAGLI TREGUA!

Lo sapeva bene l’Alfieri quanto è difficile in ogni momento decidere che fare, che cosa è giusto. Ce lo additano a scuola, modello di volontà − volli, fortissimamente volli − e invece seppe solo obbligarsi, legato alla sedia sennò col cavolo che studiava − avesse potuto Amleto chiedere a qualcuno di legargli la spada alla mano, di guidarla a compiere il gesto che si doveva compiere! decidere una volta per tutte, ecco, deciso, lo faccio, e in quel momento − non un attimo più tardi, quando un nuovo dubbio non invitato potrebbe farsi vivo − è fatto, è finito, non se ne parla più...

Perché l’anima è come la marea − ora qualche masso isolato sulla sabbia dorata e calda,

ora soltanto acqua, dappertutto,

e ora scogli che affondano e riemergono, le onde che testarde li frustano e si frantumano, e ritornano quasi potessero cambiare il mondo.

Bello sarebbe invece sapere che nulla cambierà, decidere ora, qui, e saper che domani altrove l’anima sarà la stessa, ogni scelta non potrà che essere confermata, non ci sarà da pentirsi e da rimpiangere − invece nell’anima ogni istante mille motivi deboli e forti chiedono e gridano, e si misurano, ora pare prevalere uno, ora l’altro...

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Volontà, volere − non è una scelta − è una bufera, un vocio di richieste e richiami.

E volontà non è decidere, affermare, impuntarsi, urlare − è perseverare, non cedere, non lasciarsi piegare da circostanze, fatica, dubbi, desideri − non è sceglier la rotta ma saperla tenere.

E come tu hai affrontato ogni tua scelta, come hai imparato ad affrontarle e cambiato il tuo modo di farle, quello che ogni tua scelta ha inciso in te, nei tuoi neuroni nelle loro connessioni nel tuo cervello, come hai vissuto ogni esperienza, ogni istante, OGNI SCELTA... questo, davvero, È LA TUA STORIA − non ciò che ti è successo ma COME l’hai vissuto, e come di conseguenza, di momento in momento, sei cambiato, ha costruito il tuo io.

Forse, in fondo al cuore, in quel marasma da cui peschiamo sensazioni e giudizi chiari e definitivi, che paiono incisi lì profondamente da altri, prima, da sempre, forse lì è spiegato chiaramente come riconoscere l’essenza di sé, l’anima: è là dove c’è possibilità e capacità di scelta, è dove la lettura del mondo non è obbligata, dove il gesto non è solo istintivo, dove è possibile il comportamento che non necessariamente segue il proprio interesse − e non solo per istinto protettivo o della specie, no, − dove è possibile che il comportamento sia guidato da altro, da valori sociali, altruistici, ideali, da forze che non sono cause che vengono dal mondo delle cose, ma motivi, fini aspirazioni sogni passioni che vengono d’altrove, da quel che ci è sempre piaciuto chiamare il mondo delle idee.

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Un aspetto curioso: alla fine, con tutto questo valutare e rivalutare, nel fare le scelte non siamo proprio il massimo... Perché nel momento in cui finalmente decidiamo succede che abbiamo sopravvalutato certi aspetti e sottovalutato altri.

Quando si tratta di capacità di considerare valori più elevati, però, e di comprimere alcuni nostri bisogni − anche di quelli potenti − in nome di qualcosa di più importante (una armonia superiore, la bellezza della scelta), allora la nostra procedura di “decision making”, basata sull’esame ripetuto di molti sottosistemi del problema, da diversi punti di vista, è senz’altro la procedura migliore, e ci rende capaci di scelte realmente etiche.

Comunque, per poter considerare i mille aspetti della scelta, finisce che si deve restare nell’incertezza, nel disagio del dubbio, per un pezzo. E dimenticare la fretta e le soluzioni semplici, rapide e dirette...

Un aspetto collaterale, ma cruciale, è che più o meno metà del cervello (la parte frontale) si occupa di pianificare i comportamenti e il suo contributo alla decisione è il soffermarsi a IMMAGINARE di compiere il gesto e immaginarne le conseguenze. Questo PROVARE interno e soggettivo spesso contribuisce al ritardo, all’incertezza, all’angoscia. Specialmente quando abbiamo di fronte scelte che presentano aspetti spiacevoli in tutti i casi.

C’era in giro un test: “se premi il pulsante uccidi 100 persone, se non lo fai ne moriranno 300”. Beh, la maggior parte delle persone confessano che non avrebbero il coraggio di premere il pulsante. E ci si può lamentare del trucco linguistico, ma è del tutto corretto, qui, perché quando il cervello frontale simula l’atto di premere il pulsante, e al gesto si associa direttamente la morte di 100 persone è GIUSTO usare la parola “uccidi” nel test: quel preciso atto produce la morte, ti vedi UCCIDERE in senso stretto. Questa è una di quelle trappole che agiscono nel cervello: dall’altra parte non c’è la simulazione di “non schiacciare e muoiono...”, non c’è il GESTO. Se non fai nulla il cervello frontale non ha nulla da simulare e le 300 persone SEMPLICEMENTE MORIRANNO. la cosa terribile è che questo si traduce in un atteggiamento etico−politico generale, diffuso (gli esempi potrebbero essere numerosi): è meno pericoloso non fare; è sempre più facile non far nulla che alzarsi e intervenire, è sempre più facile non assumere responsabilità...

Eccoci ancora a parlare di aspetti estremamente elevati, aspetti etici, altruismo, assunzione di responsabilità, aspetti che vanno ben oltre la nostra vita personale. Possiamo anche non nominarla, l’anima, ma tutto questo ci conduce in un ambito sociale, ideale, che si allontana da ciò che normalmente si associa al cervello e al suo funzionamento, al comportamento in termini neurologici. Ma tutte queste bufere si agitano proprio lì, insieme alle emozioni, ai ricordi, ai sogni.

E’ curioso, spesso sembra che si agitino altrove, perché il cervello, se nessuno ce lo dice non ci rendiamo conto nemmeno di averlo lì nella testa. E forse questo si spiega banalmente con la curiosa osservazione che l’unica parte del nostro corpo che non ha recettori sensoriali, per il dolore o per qualunque altra sensazione, è proprio il cervello. D’altra parte, potrebbe anche essere ovvio, no? che se ne farebbe mai il cervello di recettori che gli raccontano cosa succede nel cervello?

Forse questa è anche la ragione per cui è così difficile per noi in un punto del corpo, e nel cervello in particolare, tutti questi aspetti emotivi, affettivi, evocativi, estetici, sociali, etici, e finisce che andiamo in cerca di un anima, un altrove esterno al corpo, dove collocarli.

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cap. prec. successivo
 
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