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Fisiologia dell’anima - o, se preferisci, - neuroni & anima
Riccardo Fesce - tutti i diritti riservati (editori e agenti interessati, inviare una mail)
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VII

GUARDARE E GUARDARSI − La coscienza

Coscienza, termine incerto e molteplice, pare sia nostro destino parlar di cose che tutti sappiamo che cosa sono, ma ognuno lo sa e lo intende a modo suo.

Qui non parliamo di coscienza in senso etico − la voce guida interiore, la percezione del giusto, la versione spirituale del superio freudiano − ma di coscienza come consapevolezza, vedersi e sentirsi vivere pensare agire.

Anche così, però, non è ben chiaro; soprattutto se ci si mette in testa di misurare il “grado di coscienza”. Per un verso pare si tratti di quanto siamo svegli, presenti, e quindi attenti, rapidi e precisi nelle risposte. Ma è chiaro che il punto non sta lì: forse va bene per il nostro insegnante rompiscatole della scuola media, quello convinto che ogni volta che lo abbandonavamo alle sue farneticazioni ci stavamo addormentando, e invece erano i momenti di coscienza più intensa della mattinata, immersi, travolti e presi da ricordi sogni e desideri, amori incompresi, amarezze e gioie di liti e riconciliazioni...

Curiosamente, una misura c’è, che mette d’accordo il neurologo che ti studia e te che ti senti vivere: non è la correttezza e la prontezza delle risposte, ma il grado di attivazione (l’attività misurata con l’elettroencefalogramma) delle regioni associative multimodali della corteccia cerebrale. Là dove informazioni diverse si incontrano, dove le letture si confrontano e si comparano. In fondo, non poteva che essere così. A che serve essere consapevoli di un colore, una forma, un profilo un oggetto una relazione nelle immagini che ci vengono dal mondo, se non per metterlo in relazione con ciò che sentiamo, ricordiamo, sappiamo, vogliamo, e dargli così un significato, un’interpretazione, un possibile ruolo nella nostra vita?

D’altra parte, gran parte anche di questa attività, di armonizzazione e interpretazione, avviene affiorando solo saltuariamente alla coscienza. Sotto il pelo dell’acqua, ben visibile se vi si presta attenzione, ma non sempre presente, rilevante, importante.

Sia che le regioni associative si occupino di ciò che ci vien da fuori − immagini suoni oggetti eventi parole − oppure di ciò che si agita nel cervello − ricordi emozioni progetti idee − l’impressione è che il grado di consapevolezza sia strettamente legato a due aspetti: da un lato quanto intensa è questa attività di rielaborazione, qualunque sia il suo oggetto, e dall’altro quanto questo ribollire di attività è sotto il “nostro” controllo, quanto “noi” lo guardiamo e guidiamo.

In barba a quanto detto fin qui, pare ancora una volta risorgere la frattura fondamentale: chi è questo “noi”? il cervello ribolla pure delle capacità di elaborazione più sofisticate, logiche matematiche intellettive, ma c’è comunque un occhio interiore, un io, uno spirito, che guarda, che presta attenzione a ciò che gli interessa di tanta attività, e coscienza altro non è che dove guarda quest’occhio...

Eppure, il salto non è così grande.

Possiamo accettare che nei circuiti del cervello stia la capacità di elaborazione necessaria per riconoscere unicità-molteplicità, prima-dopo, causa-effetto, maggiore-minore, sequenze, cardinalità, ordine, periodicità e strutture, per calcolare, costruire significati e simboli, per percepire lo spazio come insieme di relazioni anche in assenza di oggetti tra i quali riconoscerle, per percepire il tempo come un fluire, una storia, un racconto, persino per parlare. Ma riesce più difficile collocarvi quell’occhio consapevole che decide di momento in momento di che ci vogliamo occupare.

Ora, però, esaminiamo un po’ più in dettaglio come funziona la corteccia.

L’occhio invia sequenze di immagini alla corteccia, e questa le analizza sì come tali, ma guida anche l’occhio a percorrere i profili, a soffermarsi su dettagli e ripercorrere e “disegnare” le immagini, e lega e coordina sequenze di immagini per riconoscere oggetti in movimento, o che cambiano forma, dimensione, colore... La circuiteria corticale è in grado di raccogliere analizzare e sintetizzare, e poi rielaborare, confrontare, seguire nel tempo: un processo inconsapevole e complicato di spostamento del fuoco, di avvicinamento e allontanamento, cambio di angolazione e prospettiva, un processo che è facile ingannare perché segue regole precise di elaborazione su cui non interveniamo consapevolmente − quante illusioni ottiche sono state preparate, che fanno vedere linee rette che paiono curve, oggetti di cui si sbaglia a valutare le dimensioni, immagini in movimento dove nulla si muove, profili che cambiano significato... Allo stesso modo la corteccia uditiva è capace di riconoscere nel fluire di suoni la presenza di fonemi − spesso ce ne sfuggono alcuni per altri rumori che interferiscono e neppure ci si accorge − e continuamente li riallinea, li combina nella loro successione a formare parole possibili, propone una interpretazione verbale coerente con ciò che è stato percepito e può cambiare tutta questa interpretazione tra un istante, al riconoscimento di un nuovo fonema: non c’entra con il significato della frase, è proprio riconoscimento delle parole; ma queste regioni dialogano con altre che vanno in cerca del senso di ciò che udiamo, e ne vengono suggerimenti su ciò che potrebbe seguire, che aiutano non poco a riconoscere − o spesso a fraintendere − i prossimi fonemi...

Regioni corticali più “elevate” o “eclettiche” − molteplici e multimodali − combinano queste informazioni − ormai non più banalmente “sensoriali” ma ben più astratte − in cerca di assonanze e dissonanze, relazioni con moti emotivi, con bisogni fisiologici e pulsioni motivazionali. Ancora una volta si tratta di esaminare una a una e poi insieme queste informazioni, e poi in sequenza appuntando l’attenzione ora su una ora sull’altra ora su una precisa combinazione, come navigando; ed è facile immaginare che proprio questo processo, con tutti gli aspetti di incertezza, molteplicità e scoperta che implica, faccia emergere sulla soglia della consapevolezza un grumo di percezioni che corrisponde ad un evento, un concetto, un’idea...

Ma se non c’è spiritualità nel riconoscere − esaminando prima uno e poi l’altro elemento, e poi tutti insieme − le relazioni spaziali, il prima e dopo, la presenza di ordini e gerarchie, il confluire di eventi in una sequenza, in una storia, con un suo senso e un suo valore emotivo, non c’è allora neppure nella capacità di una circuiteria neuronale di esaminare insieme un’enorme mole di dati, e spostare l’ “attenzione” ora su un aspetto ora sull’altro, per confrontarli e trascurare ciò che non è rilevante, e riconciliare ciò che si è elaborato con le altre informazioni disponibili. Eppure proprio in questo consiste la coscienza, nell’avvertire, riconoscere, interpretare il risultato delle mille elaborazioni che tante regioni corticali svolgono contemporaneamente, esaminandole e conciliandole a gruppi in maniera sequenziale e variabile, fino a produrre “spiegazioni” o meglio una continua e sempre diversa (in continua evoluzione) spiegazione.

Il quadro generale, dunque, è quello di una gerarchia di circuiti neuronali nella quale ogni sistema si avvale di tutte le elaborazioni prodotte in ogni istante dai sistemi meno “nobili” e navigando estrae aspetti salienti e letture coerenti, seguendo un raffinato processo di valutazione delle informazioni, ad ognuna delle quali va attribuita una specifica rilevanza e ognuna delle quali va posta in relazione e conciliata con le altre informazioni altrettanto rilevanti, per fornire in ogni istante la “risposta”, o meglio la “lettura”, che il sistema sa offrire, ai sistemi più elevati che dovranno allargare la prospettiva ad orizzonti più ampi, considerando letture proposte da altri sistemi.

In questo quadro, l’ultimo passo è la “lettura” complessiva della realtà, esterna e interna, il mondo e io e la storia e il futuro, lettura che in ogni istante varia come l’occhio esplora ciò che ha davanti, cambiando angolazione, fuoco, punto di interesse. E’ davvero una esplorazione in senso stretto, una azione continua, una storia che si svolge al nostro interno, e la coscienza è lo svolgersi stesso di questa storia, più ancora che il nostro guardarla. E’ una esplorazione alla quale la enorme potenza dei sistemi simbolici − gesti toni parole codici, linguaggi interiori o espressi, agendo parlando disegnando scrivendo nell’immaginazione o effettivamente − aggiunge la possibilità di trasformarla in racconto. Un racconto che è vivere come attore spettatore e narratore, come occhio interiore, come spirito, come coscienza.

Che il cervello sappia essere attore spettatore e narratore della nostra vita non impedisce di pensare che vi sia ancora un passo da fare, vi sia un altro mondo più oltre, e l’anima, più in là, guardi e viva questo racconto e aggiunga ancora altro. Altro, però, non questo. Non la capacità di costruire e narrare la vita, di soffrire immaginare sognare desiderare creare impegnarsi sacrificarsi amare.

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Pare che ci siamo ormai convinti che l’attività del sistema nervoso è sì, in parte, legata alla generazione di risposte agli stimoli − e questa è forse la parte più materiale, più semplice − ma in buona parte il lavorio di elaborazione si discosta da questa necessità di analizzare stimoli e produrre risposte, e piuttosto genera mantiene nutre alimenta e sviluppa nuovi ambiti di vita, logica cognitiva affettiva emotiva creativa.

Ma allora va rivisto l’intero approccio allo studio della funzione complessa del sistema nervoso. Il rapporto con il mondo esterno, con la realtà, e l’elaborazione delle risposte agli stimoli, non è che uno degli aspetti della sua molteplice e vastissima attività vitale.

Il distaccarsi dalla elaborazione degli stimoli, e delle risposte a tali stimoli, viene normalmente visto come chiudersi della psiche dentro di sé; ma non è forse più opportuno considerare questo distacco come un evadere dall’ambito ristretto di un compito quotidiano, biologico, vegetativo e banale? E’ come se, distraendosi dall’umile mestiere di elaborare risposte adeguate agli stimoli, l’anima si affacciasse alla finestra per guardare il mondo, il suo mondo, la realtà come a lei e in lei appare.

Idea non nuova, la finestra che vede il mondo, la realtà, dal suo punto di vista, individuale e irriproducibile, specifico ad ogni essere pensante. In questi termini pare non ci sia possibilità di comunicazione e condivisione, e di realtà universale su cui concordare, perché ognuno vede e elabora una parte diversa del mondo con uno sguardo diverso. Un’idea, questa della incomunicabilità tra monadi, certo non indebolita dalle difficoltà di ogni giorno per far capire a chi ci sta vicino che cosa è importante per noi, come vorremmo essere apprezzati e amati (come, non solo quanto!), come vorremmo essere e amare.

Ma la metafora forse va rivoltata.

Non siamo monadi che si affacciano fuori di sé per guardare il mondo. Al mondo siamo collegati da stimoli sensazioni e nervi, è vero, ma il cervello è percorso da innumerevoli complesse attività che − in parte procedendo autonomamente, in parte confrontandosi e conciliandosi − si espandono in mille ambiti materiali e immateriali: le informazioni sensoriali sono solo una piccola parte del mondo interiore. Talvolta la monade, il cervello, può rivolgersi proprio a quella piccola parte, e aprire quella finestra dentro di sé che, attraverso le sensazioni che arrivano dalla realtà, permette di guardare nel mondo, e così può rientrare nel mondo.

Non è molto lontana dalla realtà, questa visione rovesciata. Una vita interiore di infiniti spazi e dimensioni di cui la finestra che guarda sulla realtà sensibile è solo una minima parte. La finestra, nel cervello, è il talamo.

Tutte le informazioni sensoriali, dall’esterno come dall’interno del corpo, devono esser condotte alle strutture centrali dell’encefalo. Ci arrivano per due vie:

  • la regione dove il midollo spinale penetra nell’encefalo presenta una fitta rete di neuroni (la cosiddetta sostanza reticolare) dove tutte le informazioni sensoriali vengono rimaneggiate e rimbalzate. Questa regione elabora alcune risposte integrate, ma alla corteccia invia essenzialmente una modulazione di attivazione diffusa, non informazioni specifiche. Fondamentale, perché in assenza di questa attività subentra il coma, una situazione incompatibile con la produzione di attività cognitive. Solo in presenza di questa stimolazione diffusa da parte della sostanza reticolare la corteccia funziona e elabora.
  • le informazioni precise però non arrivano per questa via, ma adeguatamente filtrate, analizzate, ordinate e organizzate da tutte le stazioni sensoriali intermedie e dopo aver fatto tappa al talamo, che le distribuisce ordinatamente alle varie aree della corteccia incaricate di elaborare ogni specifica informazione sensoriale.

Attraverso la sostanza reticolare gli stimoli mantengono la corteccia attiva, attraverso il talamo le forniscono il materiale da elaborare. Se il talamo trasmette i segnali in arrivo, la corteccia può costruire e vivere le sue letture, interpretazioni e metafore, nutrendosi dell’informazione che arriva dai sensi; altrimenti, è “libera” di giocare col prodotto della sua stessa attività, infaticabilmente rielaborato: per certi versi staccata dal mondo. E’ quello che succede quando dormiamo, e sogniamo. E’ quello che succede in parte nel dormiveglia, quando gli stimoli esterni ci arrivano attutiti deformati dominati dai percorsi imprevedibili del nostro fantasticare, è quando a lezione perdiamo il filo, quando di fronte a una noiosa conferenza ci assentiamo involontariamente, e dimentichi di ciò che si sta discutendo, un po’ assopiti, cominciamo a seguire i percorsi infiniti della nostra fantasia.

Il talamo, allora, è proprio una finestra. Ma una finestra che ci tiene nel mondo, anziché nell’etere delle nostre attività mentali, e quando si chiude ci lascia fuori, in balia di tutte le altre dimensioni e metafore della realtà e della vita che si agitano nel nostro cervello. Come la finestra di Peter Pan. La sua non si apre, e Peter sta fuori dal mondo, si occupa solo di sé, non ha contatto col mondo, è chiuso fuori...

Il distacco dal mondo − distacco dell’elaborazione cerebrale dall’informazione e dal riscontro sensoriale, il distacco dal compito specifico di produrre risposte adeguate agli stimoli esterni, spesso si definisce “chiudersi in se stessi”. Dal punto di vista del cervello, curiosamente, questo è casomai un chiudersi fuori. Fuori, peraltro, dove stanno quelli che chiamiamo pazzi, e dove vagano i poeti. Fuori dove stanno i marinai, che navigano al largo non in cerca di orizzonti ma soprattutto di mostri e tempeste tanto terribili da far dimenticare la paura di tornare, e trovare finestre chiuse.

Eppure fuori si può stare anche senza restarvi chiusi.

Le attività cerebrali che producono “le mille dimensioni e metafore della realtà e della vita che si agitano nel nostro cervello” non si spengono da svegli, quando la finestra verso il mondo si apre. Possono occupare una parte maggiore o minore della nostra attività cosciente, e razionale, e emotiva, della nostra attenzione, e così capita di stare anche fuori, almeno un po’, mentre guardiamo il mondo, mentre reagiamo agli stimoli.

L’aspetto più affascinante della coscienza è che ognuno di noi non solo percepisce − e interpreta − la realtà, ma percepisce anche chiaramente il suo stesso percepire la realtà e se stesso. Meta... per questo la monade è immagine inadeguata: il mondo, la realtà, è solo una piccola parte di ciò che conosciamo, possiamo guardarlo da fuori e da sopra, e noi stessi siamo così enormemente più grandi che possiamo vedere da fuori e da sopra anche noi stessi che guardiamo la realtà da fuori e da sopra...

E allora siamo universi che guardano anche dentro nel mondo, e che forse faticano a comunicare nel mondo per punti di vista, approcci e sguardi diversi, ma che si possono anche incontrare − e perdere, e ritrovare ancora − non solo nel mondo, ma fuori dal mondo, in assonanze e dialoghi logici, creativi, emotivi, estetici, affettivi.

Forse proprio per questo è così chiara la percezione che ognuno di noi è fatto di un corpo e di qualcosa che non è corpo, che forse fisicamente è dentro il corpo, ma in mille dimensioni diverse da quella materiale è fuori, è sopra è altro è oltre il corpo. Qualcosa che è sempre stato chiamato anima, qualcosa che comunica con mondi e con metafore uguali a lei, oltre i confini del materiale.

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